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In memoria di Aldo Busi, il provocatore spuntato del Sistema

In memoria di Aldo Busi, il provocatore spuntato del Sistema

Aldo Busi da tempo ha smesso di fare lo scrittore. Dopo due romanzi molto importanti per la letteratura italiana contemporanea, “Seminario sulla gioventù” e “Vita standard di un venditore provvisorio di collant”, e dopo una serie di libri minori più o meno riusciti, Busi è stato definitivamente risucchiato dalla Società dello spettacolo. Prima, con la partecipazione ai programmi di Maria De Filippi. Poi con la partecipazione all’Isola dei Famosi, l’annuncio polemico dell’abbandono, le dichiarazioni contro il Papa, la cacciata dalla Rai in saecula seculorum. Busi è morto (letterariamente). Busi è rinato (televisivamente). Il Sistema se n’è appropriato, lo ha blandito, succhiato, digerito, espulso e reintegrato. Tra Daniele Interrante e Aldo Busi non c’è più nessuna differenza. Aldo Busi equivale a Costantino, a Mara Venier, a Sara Varone, a Alessandro Cecchi Paone, a Topo Gigio, alla pubblicità dei Ringo, al jingle del Grande Fratello, al televoto di Sanremo.
 
Io so cosa pensa, o pensava, Aldo Busi. Aldo Busi pensava di diventare un candelotto di dinamite nel culo del Sistema. Credeva di poterlo manipolare dall’interno. Di diventarne presenza scomoda e radicale. Di sfruttarlo a suo favore per comunicare la Cultura. Di strappare l’arma al rapinatore per puntargliela contro. Ma siamo spiacenti di comunicare ad Aldo Busi che la colluttazione l’ha visto soccombente, alla pistola è partito un colpo, e Busi c’è rimasto secco, diventando niente altro che un ingranaggio di quel Sistema, incarnando egregiamente la parte. Il Sistema, al contrario di quanto si pensa, ama la Cultura. Brama i suoi esponenti. Uno Scrittore (ex scrittore) all’Isola dei Famosi è quanto di meglio possa desiderare. Una delle caratteristiche essenziali dell’attuale Sistema non è, si badi bene, la tanto deplorata mercificazione della cultura (ovvero, la produzione di opere d’arte e più in generale di opere di ingegno per il Mercato), ma il meno noto, e più rilevante, movimento opposto: la culturalizzazione della stessa economia di mercato. La Cultura è diventata sempre meno un settore specifico isolato del Mercato, e sempre più non solo una delle sue sfere primarie, ma proprio una delle sue componenti fondamentali. E questo cortocircuito (ma Busi evidentemente non lo sa, e speriamo che ci legga, così impara qualcosa di importante) implica il declino della vecchia logica della provocazione, dell’effetto scioccante sul sistema costituito. Oggi, più che mai, l’apparato economico-culturale non solo deve tollerare, ma incentivare, promuovere, innescare effetti sempre più (apparentemente) scioccanti. Gli eccessi trasgressivi perdono del tutto il loro valore provocatorio, il loro effetto di scossa sulle coscienze anestetizzate degli spettatori, integrandosi completamente e perfettamente nel Sistema. Allo stesso modo delle mostre d’arte colme di installazioni con mucche squartate, colonscopie dell’artista esposte alle pareti, mucchi di escrementi ancora caldi e fumanti, gli eccessi di Busi non sono sovversivi, ma componente ormai irrinunciabile di quel Sistema che si pretende così di combattere.
 
Il nostro pensiero va così a un grande scrittore che non c’è più, e che ci piace ricordare col meraviglioso incipit del suo primo libro: “Che cosa resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza. Il peggio, una volta sperimentato, si riduce col tempo a un risolino di stupore, stupore di essercela presa per così poco, e anch’io ho creduto fatale quanto poi si è rivelato letale solo per la noia che mi viene a pensarci”.

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