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Il testamento di Obama sull’ambiente

Era un caldo soffocante - quasi fosse programmato - sul cortile quadrato della Georgetown University di Washington, dove Barack Obama ha tenuto martedì il suo primo discorso sull'ambiente, dopo l'insediamento del secondo mandato.

"Come padre, come Presidente, come americano, sono qui per dire che abbiamo bisogno di agire", con queste parole sono iniziati gli oltre quaranta minuti dell'attesissimo intervento.

Complice anche le controverse questioni che l'Amministrazione si sta trascinando dietro, su tutte attualmente il caso Prism, che intaccherebbero l'immagine progressista di Obama, il Presidente ha spinto forte sull'acceleratore dell'ambiente anche per recuperare consenso politico. Oltretutto la campagna del 2008 aveva visto Obama esporsi fortemente verso queste tematiche, salvo poi - circostanza su cui viene spesso accusato in patria - metterle in secondo piano (gli americani dicono "took a back seat", "ha preso il sedile posteriore") , anche e sopratutto però, a causa della crisi economica (nonché il concentrarsi sulla riforma sanitaria). Ragioni per cui, secondo voci provenienti dallo staff della Casa Bianca riportate sui quotidiani Usa, era necessario che lo speech avesse data precedente al 4 luglio: necessità politica.

Con il discorso di martedì, infatti, oltre a creare uno "spartiacque oltre il cuore del problema" come lo ha definito il professore di geoscienze e affari internazionali Michael Oppenheimer (Un. di Princeton), Obama ha espresso apertamente l'intenzione di far riacquistare agli Stati Uniti il ruolo centrale, di leadership mondiale sulla soluzione ai cambiamenti climatici.

Ha ribadito l'aspetto economico "la green economy può essere il motore per i prossimi decenni e voglio che costruiamo quel futuro; è il nostro compito" facendo leva sulla possibilità di monetizzazione degli interventi ambientali e sul mercato che ne deriva. In linea con quanto sostenuto tempo fa da Daniel P. Schrag, responsabile del Centro di Harvard per l'Ambiente, che aveva premesso che il piano sull'ambiente del presidente, avrebbe avuto successo solo se fosse riuscito a creare le condizioni di mercato "per scatenare la forza creatrice del capitalismo americano, suscitando una maggiore innovazione nel settore energetico"

Il fulcro del pensiero su cui il piano operativo si baserà, è il taglio delle emissioni del carbonio nelle centrali a carburante fossile (e la riduzione delle stesse), ma Obama dà molta importanza anche alla creazione di fondi federali (si parla di 8 miliardi di dollari) per far progredire la tecnologia delle energie rinnovabili e poi un'azione mirata di investimenti per permettere la fortificazione delle città contro le devastazioni di tempeste e siccità, aggravate dai cambiamenti climatici.

"Il 97% degli scienziati riconosce il cambiamento climatico" e "molti americani stanno già pagando il prezzo dell'inazione sul clima", ha ricordato Obama, per poi dire che a questo punto "la domanda è se avremo il coraggio di agire prima che sia troppo tardi". Il ticchettio dell'orologio, infatti è cominciato, e l'obbiettivo di ridurre le emissioni di gas serra del 17% - rispetto al dato 2005 - entro il 2020 sembra ormai molto prossimo (Scientific America crede non sarà così, ndr). Obbiettivo rilanciato martedì al 2030, data in cui il Presidente vorrebbe arrivare ad almeno 3 miliardi di tonnellate metriche di carbonio accumulato (che corrispondono a più della metà dell'inquinamento annuale da carbone del settore energetico in Usa).

Il piano presentato è sembrato solido e concreto agli analisti internazionali: in più il Presidente non ha esitato a dichiarare che sarà pronto a difenderlo anche facendo uso dei propri poteri esecutivi, nel caso non si riuscissero a sbloccare i passaggi in un Congresso fortemente diviso. Secondo Justin Gillis del New York Times, il successo di avere un piano definitivo ed operativo per il controllo delle emissioni di cui dotare l'Enviromental Protect Agency - che difficilmente a quanto sembra arriverà prima del 2017 (anno in cui Obama lascerà) - dipenderà molto dalla possibilità effettiva di utilizzare proprio questi rimedi amministrativi, "eludendo" le possibili resistenze del Congresso. Il modo, secondo quanto scrive Gillis, potrebbe essere quello di allungare i confini legali del Clean Air Act - legge firmata da Richard Nixon nel 1970, anni in cui l'ambientalismo godeva dei periodi di massimo splendore - estendendone l'utilizzo anche in materia di effetto serra e dunque alle emissioni di CO2 in atmosfera. La Corte Suprema si è già espressa favorevolmente, ma comprendere i passaggi tecnico-legali necessari, sarà una grande sfida.


Intanto Obama ha dato mandato all'EPA di delineare il piano entro un anno. Per giugno 2014 il Presidente ha richiesto all'agenzia federale che si occupa di ambiente di modellizzare la situazione, individuare i rischi, creare i possibili scenari di risoluzione.

La prima reazione è arrivata - proprio a conferma delle criticità politiche intorno al piano - dallo speaker della Camera, il repubblicano John Boehner, che ha commentato in una dichiarazione: "Queste politiche, respinte anche dall'ultimo Congresso controllato dai democratici, con la volontà di bloccare le centrali elettriche, distruggono posti di lavoro americani ben retribuiti ed aumentano le bollette elettriche".

Critiche però già anticipate da Obama stesso, proprio nel suo discorso, quando con estremo realismo ha parlato della necessità di un periodo di transizione, ricordando che i suoi indirizzi non stanno a significare che "improvvisamente smetteremo di produrre carburanti fossili, un periodo di transizione richiede tempo, ma chi dice che questo danneggerà i rifornimenti energetici, mente".

Altro argomento, scabroso, affrontato da Obama - ed usato anche come proxy comunicativo per delineare e rafforzare l'atteggiamento generale dell'Amministrazione nei confronti delle tematiche trattate - è stato quello del Keystone XL, il super-oleodotto (1.897 chilometri) che dovrebbe collegare Hardisty, Alberta (Canada), al Midwest ed al Golfo del Messico trasportando il petrolio estratto dalle sabbie bituminose del Canada ai depositi e raffinerie Usa. La costruzione dell'ultima parte del corridoio, mette gli ambientalisti in forte fibrillazione, in quanto sembrerebbe che l'oleodotto stesso produrrebbe forti emissioni di gas serra.

Obama in merito, ha usato parole caute sul progetto - di cui due fasi sono già operative, una terza è in costruzione (da Oklahoma al Golfo del Texas), mentre la quarta, quella discussa, è in via di approvazione - garantendo che "dovrà rispettare i parametri di sicurezza e non compromettere l'ambiente o non sarà approvato dal mio governo" e spiegando che "il nostro interesse nazionale sarà garantito solo se questo progetto non aggraverà esageratamente il problema dell'inquinamento da anidride carbonica".

Secondo le critiche, questo è stato probabilmente il passaggio più debole del discorso: sia perché ci si aspettava l'annuncio dell'approvazione del quarto stralcio, e invece al suo posto sono arrivate soltanto linee guida, linee di pensiero. E perché, dubbio sollevato anche dai reporter Mark Lander e John Broder del NYT è sembrato un po' elusivo e ambiguo, senza specificare di preciso quali fossero gli aspetti di criticità del progetto e quando eventualmente tali circostanze sarebbero considerate significative dal punto di vista dell'impatto ambientale.

Da quello che sembra da una prima bozza di valutazione, infatti, il Dipartimento di Stato ha concluso che l'impatto prodotto sul clima sarebbe minimo. Ciò nonostante Obama ha chiesto di andare oltre ed approfondire gli studi, anche per giustificare l'investimento economico, vincolando a questi approfondimenti la propria approvazione. Su questo comunque l'a.d. della Trans Canada, ditta che richiede il permesso della costruzione della pipeline, si è manifestato ottimista, sicuro che il progetto incontrerà le visioni di Obama, avvalendosi per altro di studi che dimostrano che l'immissione sul mercato del petrolio attraverso altri mezzi di trasporto (ferrovie e camion) sarebbe notevolmente più inquinante.

Dunque l'intervento alla Georgetown University di martedì sembra essere un testamento, morale, di pensiero e visioni, sull'ambiente, che Obama lascerà al proprio successore. Ma di più, il legacy, sarà costituito anche da aspetti materiali: il piano ambientale, appunto, che sarà operativo e definitivamente applicabile e funzionante entro il 2017, e vincolerà alle visioni dell'attuale prresidente, l'atteggiamento del futuro. Un lascito, anche oneroso, su cui il futuro difficilmente potrà tornare indietro.

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