Il selfie non scattato: i gruppi di Facebook
Ci sono posti dove nessuno vorrebbe farsi un selfie. Tolti i luoghi più ovvi in tal senso tipo l’ospedale, la questura, lo studio del dentista, lo sportello Equitalia o il covo di un branco di terroristi, il posto dove meno si desidera essere immortalati è quel gruppo su Facebook dove qualcuno ci ha infilato “a nostra insaputa”. Gli internauti lo sanno: non passa giorno senza che qualcuno dei nostri contatti non sbotti pubblicando sfoghi pacati quanto un intervento di Sgarbi alla vista di un allevamento di capre, per manifestare la propria indignazione per essere stato inserito in qualche gruppo.
Oggi come oggi, nel mondo dei social, agli occhi dei più non c’è scorrettezza più intollareabile di questa. Essere aggiunti a un gruppo viene percepito come una pesante mancanza di rispetto, una prevaricazione che grida vendetta. Gli insulti che si rischiano per commenti in disaccordo su questioni politiche, musicali o religiose sono bazzecole in confronto all’ira che si suscita inserendo qualcuno in un gruppo, fosse anche il più innocuo. Passi per gruppi tipo “Club sadomaso di Novara e provincia”, “Gigi d’Alessio superfans” o “Noi che vogliamo nutrirci solo di prana e di luce solare”. Ma anche essere inseriti in gruppi apparentemente affini ai propri interessi suscita inevitabilmente la stessa furibonda reazione. Ho visto persone zen, sempre peace and love e ommmm incazzarsi come delle puzzole quando qualcuno si è permesso di inserirle in un gruppo tipo “Benessere dell’anima”. Altri che non si fanno vivi per anni, quelli che ci sono, ma non si vedono mai, i fantasmi del social nascosti nei sotterranei dell’algoritmo, resuscitano di scatto quando si vedono inseriti tra i membri, ad esempio, di “Gite nel weekend”, mandando a fare una gita all’inferno colui che si è azzardato a “invitarli” nel gruppo in questione.
Il punto è proprio questo: al momento i meccanismi di Facebook consentono di invitare qualcuno in un gruppo semplicemente aggiungendolo. Al soggetto in questione arriva una notifica tipo “Pinco Pallino ti ha invitato nel gruppo X”, alché uno può approvare l’inserimento o abbandonare il gruppo. Siccome però molti non guardano le notifiche, scoprono di essere nel gruppo in questione solo per caso, a distanza di tempo. E allora scatta il panico: chissà da quanto tempo il mondo crede che io sia un fan di Gigi D’Alessio o che frequenti il club sadomaso di Novara? Per uno che invece è fan di Marco Carta o socio del club sadomaso di Verona, si capisce che si tratta di una brutta macchia all’immagine.
Prima o poi probabilmente Facebook escogiterà un modo meno invasivo di poter invitare gente nel proprio gruppo. Nel frattempo, oltre al divertimento di leggere gli insulti giornalieri tra proprietari di gruppi e adepti forzati, resta da chiederci se tutti coloro che s’incazzano per essere stati inseriti a loro insaputa tra i fan di qualcosa o di qualcuno, avranno mica lo stesso livello di sensibilità quando si renderanno conto di essere stati aggiunti, e non su un social, ma nella vita reale, a gruppi, giusto per citarne alcuni, come “Quelli che mangiano spazzatura e veleni”, “Noi che l’acqua privata la paghiamo come se fosse vino”, “Gli amici dei Bagni Trivella”, “Monsanto Fan Club”, “Nostalgici dei tempi in cui si andava ancora a votare”.
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