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Il rating sovrano di Moody’s sull’Italia

Moody's ci allontana dalla spazzatura, scrutando orizzonti vicini e lontani. Ma la musica di sottofondo resta la solita: o avanzi primari o guai

C’era molta attesa e altrettanto timore, per la periodica “pagella” dell’agenzia di rating Moody’s all’Italia. Perché il voto in essere ci poneva sul ciglio dello speculative grade, detto anche “spazzatura”: BBB- con “outlook” (prospettive) negative. Come dire, mancava un alito di vento per mandarci all’inferno. Invece, non solo Moody’s ha confermato il rating ma pure migliorato le prospettive, rendendole neutrali. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi? Ovviamente, no.

DIETRO LA CURVA

Delle agenzie di rating ho avuto modo di dire da oltre dieci anni, dai tempi della grande crisi europea dei debiti sovrani: sono “dietro la curva”, cioè in ritardo, rispetto alle narrative e agli scenari disegnati e cancellati dai mercati. E questo è un dato di fatto. Servono ancora a qualcuno, queste agenzie? Forse sì, ad esempio agli investitori istituzionali che devono decidere se e cosa comprare, quando hanno lo spartiacque che deve trattarsi di debito investment grade. Forse manco più a loro ma fingiamo che sia così.

Il rating sovrano di Moody’s sull’Italia, sino a venerdì 17 novembre, era invece una sorta di bomba ad alto potenziale innescata. Se ci avessero declassato a spazzatura, forse sarebbero riusciti a muovere il nostro mercato, e crearci gravi problemi. Ma ribadisco il forse.

Invece, come detto, restiamo sul fondo dell’investment grade ma almeno non abbiamo più quell’inquietante e ansiogeno outlook negativo. Ma come è giunta Moody’s a questa sorta di promozione del nostro paese? Confesso che, leggendo le motivazioni, mi sfugge. Perché, ad esempio, si certifica che nel 2023 il cosiddetto effetto “palla di neve” è ancora positivo, cioè la crescita nominale eccede confortevolmente il costo medio del debito.

Ottimo, sono sollevato. Ma solo in parte, perché il 2023 volge al termine. E poi? Poi Moody’s specifica che dal 2025 la palla di neve ridiventa negativa e quindi ci serviranno avanzi primari crescenti. Quindi, come dire, un outlook a brevissimo termine confortante e confortevole, e uno di breve-medio termine con insidie non lievi.

Ma non è finita, perché Moody’s lancia il cannocchiale alla fine del decennio e avverte che i costi dell’invecchiamento eroderanno l’avanzo primario e causeranno un “lieve aumento” del rapporto debito-Pil, che peraltro resta “molto elevato”. Ah, meno male, mi sono detto: è “lieve”, qualcosa faremo. E poi, fine decennio, cerchiamo di arrivarci vivi.

E tuttavia, subito dopo, arriva la precisazione metodologica: attenzione, dice Moody’s: la traiettoria dell’indebitamento è altamente sensibile alle ipotesi di crescita, tassi d’interesse e saldo di bilancio. Basta una piccola deviazione dallo scenario di base, e si rischiano guai seri. Ecco, non fa una grinza ma quindi?

AVANZO PRIMARIO, PRODOTTO TIPICO ITALIANO

Quindi, dice l’agenzia, confidiamo nella grande abilità italiana a costruire avanzi primari per rassicurare i mercati. Cioè a sottrarre risorse alla crescita, per supplire alla mancanza di crescita. Non è molto lusinghiera, questa considerazione. Forse sarebbe stato meglio dire che “confidiamo nella vostra capacità di produrre crescita e quindi di ridurre l’indebitamento”. Ma pazienza, forse un po’ di pigrizia o di sano scetticismo.

Quindi, dopo aver festeggiato il 2023, ammonito sul 2025, vaticinato l’ovvio sul 2030 con la crisi demografica e di invecchiamento, che altro si dice? Che abbiamo una riforma delle pensioni che, dal 2040 piegherà la traiettoria della spesa pensionistica (grazie, santa Elsa), ma che fino a quella data ci saranno pressioni al rialzo sulla spesa previdenziale che l’agenzia confida saranno contenute dai governi italiani. Basta un poco di avanzo primario e la pillola va giù.

Segue elogio della robustezza del sistema bancario italiano, che aiuterà il sistema paese, e sospiro di sollievo per l’andamento dei prezzi energetici. Né manca il riferimento al PNRR, che almeno sino al 2026 dovrebbe puntellare (anzi, spingere) la nostra crescita nazionale pur con i soliti caveat di elevato execution risk, direbbero i manager latinisti. Però è strano, il PNRR c’era anche ad agosto 2022, quando Moody’s decise di schiaffarci un bell’outlook negativo. Boh.

E dunque, cosa è cambiato nell’ultimo anno e mezzo, per determinare questo spiffero di ottimismo? Io davvero non lo so. Aumento dei tassi d’interesse, bonus edilizi fuori controllo che si trasformano in debito al passo di 20-22 miliardi annui per un triennio, una transizione ecologica che si preannuncia durissima, dalla Germania in giù. Mettiamoci anche il debito potenziale dei prestiti Covid garantiti dallo Stato e -forse- qualcosa dalle Gacs, le garanzie pubbliche sulle tranche senior delle obbligazioni collateralizzate che sono servire per ripulire dalle sofferenze i bilanci delle banche italiane. Le banche italiane sono poco “sofferenti”, come segnala Moody’s, ma forse solo perché la sofferenza è predestinata a finire in capo (anzi, letteralmente in testa) al Tesoro. Cioè a Pantalone.

Per non parlare, ribadisco, delle vertigini che prendono quando l’analisi vola dal 2023 al 2040, con tappe intermedie al 2025 e a fine decennio.

Nei giorni scorsi, l’ex capo dei rating sovrani di Standard & Poor’s, Moritz Kraemer, che oggi fa l’economista di una banca tedescaaveva maliziosamente osservato che Moody’s, con quell’outlook negativo dello scorso anno, si era messa in un angolo da sola, per le potenziali conseguenze di ulteriori azioni di declassamento. Ecco, direi che con l’annuncio di venerdì 17 (giorno fortunato), l’agenzia è uscita da quell’angolo e può tornare ad osservare la politica economica italiana assieme alle consorelle.

Resta il punto della credibilità: questi “giudizi” sono la collezione di una serie di frasi a mattoncino, che vengono assemblate in modo casuale sin quando il managing director di turno in agenzia non decide da quale parte far pendere la bilancia. E questa volta è andata bene. Sono opinioni, ricordate.

A QUESTO GIRO, NIENTE COMPLOTTI

Quindi, adelante Giorgia, con juicio. L’aspetto maggiormente positivo, a mio giudizio, è che questa tornata di revisioni di rating non causerà levate di patriottici scudi o di accuse di complotto pluto-demo-giudaico-massonico. Non leggeremo editoriali di cronisti con taccuino ed editorialisti retequattristi che ci informano che c’è un Deep State che parte da Bruxelles e arriva non a Madre Teresa ma alle agenzie di rating, passando per il Tar, la magistratura ordinaria, quella contabile, gli uscieri dei ministeri, l’establishment culturale e le macchie solari per tenere stretto il morso sulla bocca di ogni governo sovrano.

Nessun procuratore in cravatta tricolore scalderà il pc per scrivere avvisi di garanzia. A questo giro, non avremo neppure bisogno di personaggi chiari e forti(s) che spieghino alle agenzie che gli italiani sono ricchi, quindi possono garantire per il loro stato. Già si odono i primi rutti sull’Italia che “corre e cresce più della Germania”.

Ci saranno poi gli opposti retroscenismi: dai patrioti che leggeranno la vicenda come “premio degli americani a Giorgia” mentre i cospirazionisti classici (quelli contro lo status quo) rilanceranno la tesi speculare del premio per “Meloni pro-Nato” (?), scordando che queste stesse agenzie stanno progressivamente declassando, per manifesta disfunzionalità di governance, il merito di credito sovrano degli Stati Uniti. Si conferma che siamo i nipotini scemi di Machiavelli, in sintesi.

Potremo quindi dedicarci alla realtà, fatta di negoziati sul patto di stabilità e di una incipiente recessione europea a trazione tedesca. Sono sollevato. Quasi come il rating italiano. Non si vede?

Questo articolo è stato pubblicato qui

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