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Il racconto dal braccio della morte in 10 anni di corrispondenza con l’Italia

Nell’ultimo quarto di secolo la Comunità di Sant’Egidio ha favorito, direttamente e con l’aiuto di altri, 15.384 corrispondenze epistolari con condannati a morte negli Stati Uniti d’America e di altri stati.

 

Solo nell’ultimo anno, le richieste ricevute sono state 2500.

In occasione del 30 novembre, Giornata mondiale contro la pena di morte e data ormai storica dell’iniziativa “Città per la vita – Città contro la pena di morte”, cui partecipano oltre 2000 municipalità in ogni parte del mondo, Ianieri Edizioni pubblica “La seconda lettera. Corrispondenza con un condannato a morte, di Laura Bellotti.

Bellotti traduce di solito ciò che scrivono altri autori, ma stavolta è lei a prendere la parola. Anzi, la penna. E scrive, incuriosita dalla proposta della figlia. Inizia così, nel 2012, una lunga corrispondenza con James Aren Duckett, condannato a morte nello stato della Florida.

Questo è un estratto della seconda lettera ricevuta dal braccio della morte:

“Buongiorno. È stato bello ricevere una lettera da te, ieri sera. È stato particolarmente importante ricevere la seconda lettera, perché quando qualcuno mi scrive per la prima volta, non so mai se scriverà di nuovo, dopo la mia risposta. È stato un gran sollievo e una grande felicità vedere la tua busta datata 5 gennaio. Grazie! La lettera ha impiegato 11 giorni… mi domandavo quanto tempo impiega ad arrivare una lettera dall’Italia alla Florida”.

Duckett è stato condannato a morte per un’azione orribile: lo stupro e l’uccisione di una bambina di 11 anni. Immagino sia stata una scelta difficile, soprattutto per una madre, avviare questa corrispondenza.

Ma non è solo l’asserita innocenza di Duckett, su cui speriamo un giorno le corti d’appello vorranno approfondire, a dare a Bellotti la spinta per mantenere aperto questo dialogo a distanza. Non sono solo i pensieri, le paure e le riflessioni di un uomo che ormai da oltre 30 anni è sospeso tra la speranza di uscire dal carcere e la paura di terminare a sua vita legato al lettino dell’esecuzione.

A segnare quasi 10 anni di scambi epistolari è soprattutto il rifiuto dell’idea che la giustizia passi attraverso la pena capitale. L’idea, sempre più diffusa grazie alle campagne delle organizzazioni abolizioniste, che la risposta dello stato a un reato (ammesso, in questo caso, che sia stato commesso) non può essere né uguale né, tantomeno, peggiore.

 

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