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Il problema del velo integrale: prima convergenza tra Gran Bretagna e Francia?

An­che in Gran Bre­ta­gna ci si ren­de sem­pre più con­to di come il mul­ti­cul­tu­ra­li­smo con­fes­sio­na­li­sta crei pro­ble­mi: ora sul­la que­stio­ne del velo in­te­gra­le.

Un tri­bu­na­le di Lon­dra ha sta­bi­li­to che una don­na di re­li­gio­ne isla­mi­ca coin­vol­ta in un pro­ces­so deb­ba to­glie­re il velo quan­do deve de­por­re in aula, men­tre può te­ner­lo ne­gli al­tri mo­men­ti del pro­ces­so. Il caso è quel­lo di “D”, una ra­gaz­za mu­sul­ma­na di 22 anni im­pu­ta­ta per in­ti­mi­da­zio­ne nei con­fron­ti di un te­sti­mo­ne di un al­tro pro­ces­so. Il le­ga­le del­la gio­va­ne ha so­ste­nu­to che lei non po­te­va to­glie­re il ni­qab in pub­bli­co, per­ché im­po­sto­le dal­l’i­slam. Il giu­di­ce Pe­ter Mur­phy, pur mo­stran­do­si ri­spet­to­so, non ha ri­te­nu­to op­por­tu­no ga­ran­ti­re que­sta ec­ce­zio­ne re­li­gio­sa in ogni oc­ca­sio­ne, poi­ché du­ran­te una de­po­si­zio­ne è im­por­tan­te an­che os­ser­va­re il viso e le espres­sio­ni del­l’in­te­res­sa­to. Quin­di la ra­gaz­za quan­do è chia­ma­ta alla sbar­ra non può na­scon­der­si die­tro il velo che la­scia sco­per­ti solo gli oc­chi.

niqab

La que­stio­ne, come os­ser­va Re­pub­bli­ca, pone la ne­ces­si­tà di ar­mo­niz­za­re la li­ber­tà re­li­gio­sa con l’in­te­res­se pub­bli­co in un pae­se come la Gran Bre­ta­gna in cui l’ap­proc­cio è dif­fe­ren­te ri­spet­to alla Fran­cia e al Bel­gio, dove vige il di­vie­to per il velo in­te­gra­le.

Que­sto caso in­gle­se mo­stra co­mun­que un at­teg­gia­men­to trop­po con­di­scen­den­te nei con­fron­ti del­le pre­te­se re­li­gio­se: in­di­ca­ti­vo che il giu­di­ce ab­bia vie­ta­to ai di­se­gna­to­ri tra­di­zio­nal­men­te am­mes­si ai pro­ces­si di ri­trar­re il vol­to sco­per­to del­la gio­va­ne; non solo, ma per iden­ti­fi­ca­re l’in­te­res­sa­ta è sta­ta in­via­ta ap­po­si­ta­men­te una po­li­ziot­ta, in modo che la don­na po­tes­se to­glier­si il velo (cosa che non avreb­be fat­to di fron­te a un uomo).

Epi­so­di del ge­ne­re su­sci­ta­no il di­bat­ti­to sul velo an­che Ol­tre­ma­ni­ca. C’è so­prat­tut­to la de­stra a chie­de­re espli­ci­ta­men­te il ban­do, con ac­cu­se di “isla­mo­fo­bia” di ri­man­do: ma an­che tra con­ser­va­to­ri e la­bu­ri­sti ci si pone il pro­ble­ma. Il la­bu­ri­sta Jack Straw e il pre­mier con­ser­va­to­re Da­vid Ca­me­ron vor­reb­be­ro nor­me più ri­gi­de, cui si op­pon­go­no il li­be­ral­de­mo­cra­ti­co Nick Clegg e il vice pri­mo mi­ni­stro Je­re­my Bro­w­ne.

Il so­cio­lo­go Ren­zo Guo­lo evi­den­zia la dif­fe­ren­za tra il mo­del­lo bri­tan­ni­co e quel­lo fran­ce­se. Il pri­mo, “di ma­tri­ce mul­ti­cul­tu­ra­li­sta, fon­da­to es­sen­zial­men­te sul­l’i­dea di mas­si­mo ri­co­no­sci­men­to del­la dif­fe­ren­za cul­tu­ra­le nel­lo spa­zio pub­bli­co in cam­bio del­la leal­tà si­ste­mi­ca”, “pri­vi­le­gia un con­cet­to di li­ber­tà as­so­cia­to a quel­lo di au­to­no­mia”.

Men­tre in Fran­cia, “che adot­ta un mo­del­lo di in­te­gra­zio­ne as­si­mi­la­zio­ni­sta”, si è vie­ta­to il velo per con­tra­sta­re l’op­pres­sio­ne ma­schi­li­sta e pa­triar­ca­le vei­co­la­ta dal­l’i­slam. Ma al­l’i­ni­zio ci si è scon­tra­ti con l’e­si­sten­za di don­ne che so­ste­ne­va­no di in­dos­sa­re il bur­qa sen­za con­di­zio­na­men­to. Si è quin­di vi­ra­to ver­so l’e­si­gen­za del ri­co­no­sci­men­to del­la per­so­na ne­gli spa­zi pub­bli­ci, un po’ come ac­ca­de in Ita­lia con la leg­ge Rea­le: vi­sto che tale ne­ces­si­tà, se vale per tut­ti gli al­tri cit­ta­di­ni, non do­vreb­be tro­va­re ec­ce­zio­ni le­gi­sla­ti­ve di tipo re­li­gio­so (come in­ve­ce è sta­to pro­po­sto du­ran­te la scor­sa le­gi­sla­tu­ra dal Pd).

Con­si­de­ran­do an­che che ci sono sta­ti fur­ti e ra­pi­ne ef­fet­tua­ti da per­so­ne che in­dos­sa­va­no il bur­qa, o epi­so­di dif­fu­si di co­stri­zio­ne — che in al­cu­ni casi sfo­cia­no in tra­ge­dia — nei con­fron­ti di ra­gaz­ze che non vo­glio­no in­dos­sar­lo. Una via, quel­la del­l’e­si­gen­za del ri­co­no­sci­men­to, ver­so cui pare ten­de­re an­che la Gran Bre­ta­gna: due si­ste­mi le­gi­sla­ti­vi agli an­ti­po­di come quel­lo fran­ce­se e quel­lo in­gle­se sem­bra­no tro­va­re su que­sto un pun­to in co­mu­ne.

 

 

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Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.89) 20 settembre 2013 11:07

    Nella maggior parte delle culture ci sono solo due tabù: i genitali vanno coperti ed il volto va lasciato scoperto.
    A me questo va benissimo, quello che non mi va bene è la legge francese che vieta di tenersi un foulard in testa nei luoghi pubblici.
    Quando è stata fatta questa legge pareva fosse solo contro le donne musulmane ma, ovviamente, era solo una scusa. Quando un governo incomincia a legiferare sull’abbigliamento, non smette più: infatti in Francia, un paio d’anni dopo la legge che proibiva il foulard a scuola, lo stato ha fatto una legge sulla lunghezza delle gonne delle studentesse.

  • Di (---.---.---.53) 20 settembre 2013 16:01

    Il Corano non obbliga ad indossare ne velo ne burqa che sono imposizioni di frange estremiste. A dimostrazione sono i tanti paesi Islamici dove le donne girano senza che nessuno le obblighi ad indossare indumenti non condivisi. Pertanto l’accettazione di tali usanze non è il mancato rispetto alla tradizione mussulmana ma condivisione all’umiliazione di milioni di donne costrette alla sottomissione da individui di indubbia cultura medioevale.

  • Di (---.---.---.106) 14 ottobre 2013 19:13

    Il burqa non è una espressione religiosa, nel Corano non c’è scritto, è solo un indumento costituito dal governo dell’Islam che usa le sue proprie usanze medioevali. Oltre tutto, il burqa non è biblico, ossia, non è scritturalmente descritto nella sacra scrittura come forma di religiosa istituita e comandata dalla parola di Dio. La sacra scrittura che è la parola di Dio, a tale riguardo ci dice chiaramente che la donna deve solo usare un velo sul suo capo quando è nella chiesa, ovviamente, al di fuori della chiesa non ha senso che lo porti per le vie della città.
    A tale riguardo riporto scritturalmente le parole nella sacra bibbia: Ogni uomo che prega o profetizza a capo coperto fa disonore al suo capo, ma ogni donna che prega o profetizza senza avere il capo coperto fa disonore al suo capo, perché è come se fosse rasa. Perchè se la donna non ha il capo coperto, si faccia anche tagliare i capelli, o radere il capo, si metta un velo. Poichè, quanto all’uomo, egli non deve coprirsi il capo essendo immagine e gloria di Dio; ma la donna è la gloria dell’uomo; perchè l’uomo non vien dalla donna, ma la donna dall’uomo, e l’uomo non fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo.  Perciò la donna deve, a causa degli angeli, avere un segno di autorità.  D’altronde, nel Signore, nè la donna è senza l’uomo, nè l’uomo senza donna. Infatti, come la donna viene dall’uomo, così anche l’uomo esiste per mezzo della donna e ogni cosa è da Dio. ""Giudicate voi stessi: è decoroso che una donna preghi Dio senza avere il capo coperto? "Non vi insegna la stessa natura che se l’uomo porta una chioma, ciò è per lui un disonore?" Mentre se una donna porta la chioma le è data come ornamento. Se poi a qualcuno piace essere litigioso, noi non abbiamo tale abitudine; e neppure le chiese di Dio. 1° Epistola ai Corinzi, cap. 11 verso 1 a 16.
    Quindi, è chiaro che la vera donna cristiana deve mettersi un velo sul capo quando essa è in chiesa, ma, al di là della chiesa non ha nessun senso di coprirsi il capo che, tra l’altro, la donna dell’ Islam si copre anche tutto il viso per non essere conosciuta. Perciò, vi è un episodio nella bibbia dove una donna che era coperta totalmente la sua faccia da non essere riconosciuta la vide uno dei 12 patriarchi del popolo di Dio, Giuda, (non l’iscariota) e la credette una prostituta perchè essa si era coperta la faccia. Genesi, cap. 38 verso 15.
    Quindi da quello che abbiamo visto, la vera donna cristiana deve mettersi solo un velo sul capo quando egli è in chiesa, ma non c’entra niente andare per le vie della città essendo totalmente coperta da non farsi riconoscere. Se questa usanza appartiene all’ Islam, se la tenga, ma noi non abbiamo tale usanza qui in Italia, e neppure le (vere chiese cristiane!)

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