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Il pianeta disabilità e Bruno Bettelheim

E’ già trascorso un mese dalla commemorazione dell’anniversario della liberazione dei reclusi sopravvissuti dal campo di concentramento e sterminio di Auschwitz, per tutto il mondo "Giorno della Memoria", in cui ricordare la Shoah; e ne sono trascorsi quattro di mesi dalla Giornata Mondiale delle Persone con Diversa Abilità.

Sono date, per qualche verso, si richiamano l’un l’altra: i telegiornali del Giorno della Memoria ci hanno ricordato che, insieme a milioni di vittime ebree, perirono nei campi di concentramento nazisti ottantamila disabili.
 
E congiuntamente richiamano Bruno Bettelheim, il grande vecchio medico dell’infanzia disabile, ed in particolare dei bambini autistici, ebreo viennese, ospite di Dachau e di Buchenwald all’epoca dell’Anschluss.

Di quello che è accaduto a Dachau ed a Buchenvald egli parla nel saggio Liberarsi della mentalità del ghetto, contenuto nel testo La Vienna di Freud, editore Feltrinelli, insieme a tantissime, infinite altre cose. La domanda che affronta è questa: come è stato possibile che milioni di persone marciassero consenzienti verso la propria morte, senza neanche tentare un pallido barlume di risposta ?
 
Questo, secondo Bettelheim, rientra in un fenomeno che in mancanza di un termine migliore ha chiamato mentalità del ghetto: "In questo consiste la mentalità del ghetto: nel credere che ci si possa ingraziare un mortale nemico negando che le sue frustate fanno male, negando la propria umiliazione in cambio di una tregua, dando il proprio sostegno a chi poi userà quella forza per meglio annientarti. Tutto questo fa parte della filosofia di vita del ghetto".


La conclusione di Bettelheim è la seguente e porta anche una citazione di Hillel, rabbino del primo secolo: "Se non ci battiamo per noi stessi, nessuno si batterà per noi. Gli ebrei sotto Hitler non combatterono per se stessi, perirono: quelli che lo fecero, per la maggior parte si salvarono, persino sotto Hitler. Giacché gli ebrei, in così gran numero, non vollero combattere, nessuno combatté per loro. Infatti, come dice Hillel : “Se non sto io dalla mia parte, chi ci starà ?”.
* * *
Anche i disabili hanno il loro ghetto: sono le mura di casa, dove, finita l’età scolastica, vivono emarginati e discriminati; perché nel mondo del lavoro e nella comunità civile non vi è posto per loro.
 
Un tempo non vi era posto nemmeno nella scuola: che faccia facevano le maestre quando per la prima volta “dovevano” accogliere uno di loro nella loro classe ope legis !
 
Poi, a poco a poco, grazie agli insegnanti di sostegno, si è affermato il principio dell’accoglienza dei disabili nel mondo della scuola.
 
Finito, però, il periodo scolastico, il disabile deve rientrare nel suo ghetto.
Ed è questo il grande insegnamento che Bruno Bettelheim dona loro: devono lottare, lottare strenuamente, se voglio vivere, se vogliono riuscire ad abbandonare il ghetto.

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