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Il patrimonio italiano che resiste alla crisi

L’agenda politica italiana di questi ultimi tempi sembra essersi focalizzata su alcuni settori quali il fisco, la crescita e, strettamente legato a quest’ultima, il tema del lavoro. L’impatto della crisi si inserisce in un contesto già difficile come quello italiano, imponendo all’attuale governo un’azione ancora più efficace nell’invertire la pericolosissima deriva che attanaglia il Paese .

Tuttavia, i punti che più urgentemente richiedono soluzioni, sono anche quelli che soffrono dei problemi più profondi e complessi. Si parla ad esempio dell’IMU, e immediatamente i nodi del mancato aggiornamento del catasto vengono al pettine. Appena si discute della lotta alla disoccupazione emergono all’istante altri temi ad essa strettamente correlati quali il sistema pensionistico e quello fiscale, che necessitano essi stessi di riforme strutturali, e non di soluzioni a breve termine.

Ci sono invece altri tipi di problemi che restano inspiegabilmente sullo sfondo. Si tratta in questo caso del nostro vero e ineguagliabile tesoro: l’Italia è sede del più alto numero di siti patrimonio dell’umanità UNESCO, un primato che costa responsabilità. La nostra cultura ha radici talmente profonde che non soffre i venti della crisi; l’Italia è avanti a tutti in termini di ricchezza storico-artistica e culturale. Tuttavia questo status privilegiato è ad oggi esclusivamente il frutto del grande ruolo del nostro Paese nella storia dello sviluppo della cultura occidentale. Che certo non è poco. Esso potrebbe però anche significare il risultato di una continua azione nel presente e di una ragionata programmazione del futuro.

Il rapporto della Corte dei Conti del maggio 2011 rappresenta il più recente rilascio di dati che riguardano la pubblica gestione del patrimonio archeologico Italiano. Il panorama che ne esce fuori non è per niente esaltante, per due motivi, strettamente legati fra loro. Il primo è che l’aspetto maggiormente problematico è quello organizzativo piuttosto che economico, la cui soluzione richiede interventi ben più articolati e complessi. La Corte infatti denuncia “assenza di raccordo tra direzioni generali”; “scarsa propensione ad interagire tra centro (Direzioni Antichità e Bilancio) e sedi periferiche”; “difficoltà di spesa degli organi periferici dell’amministrazione”. Il secondo aspetto desolante è che “i dati sono datati”. Infatti si sottolinea la mancata realizzazione della banca dati unificata in cui far confluire i sistemi informatici riguardanti diversi aspetti conoscitivi, pur sempre insistenti su siti archeologici”. Per questo motivo ci dobbiamo accontentare di dati risalenti al triennio 2007-09.

Vediamo qualche dato riguardante la gestione del nostro tesoro archeologico. Prima di tutto quanto si spende per i siti archeologici italiani? Il grafico che segue mostra l’incidenza degli stanziamenti al MIBAC sul totale del finanziamento alle amministrazioni centrali.

 Il patrimonio italiano che resiste alla crisi

Qui potete invece navigare la mappa che localizza tutte le spese per la manutenzione dei siti archeologici (i dati si riferiscono al 2009).

Infine, va menzionato un aspetto emblematico del modo in cui la politica si occupa del nostro tesoro archeologico. Ancora una volta è la Corte dei Conti che ci tiene a ricordare come il concetto stesso di “Sito archeologico”, non è stato ad oggi giuridicizzato, ovvero non è definito in termini di legge. La definizione che si può trovare nei documenti del MIBAC e sullo stesso sito web del ministero risale al Regio decreto del 11 Giugno 1885. Che tipo di Paese è quello in cui le leggi che regolano la gestione dei siti archeologici sono esse stesse dei veri e propri reperti storici?

 

Link: il Rapporto della Corte dei Conti

 

 

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