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Il nuovo auditorium di Renzo Piano all’Aquila

Ronchamp, un paesotto francese a due passi dalla Svizzera, abitato da meno di tremila persone: il mondo avrebbe seguitato a mantenersi inconsapevole della sua esistenza, se Le Corbusier, invitato a rimpiazzare sulla collina Bourlémont un’antica cappella andata distrutta nella Seconda Guerra Mondiale, non gli avesse donato nei primi anni Cinquanta del Novecento una spettacolare invenzione. Fu cosí che Ronchamp ebbe Notre Dame du Haut e l’architettura una delle icone universali della modernità.

Spentasi l’effervescente polemica internazionale, scatenata e protrattasi per anni intorno alle forme inusitate e ai materiali innovativi, Notre Dame du Haut è diventata un classico del virtuosismo costruttivo, venerata come il Pantheon, Santa Maria del Fiore o la Tour Eiffel. Mezzo secolo piú tardi, su Ronchamp è tornata a focalizzarsi la vis polemica: questa volta, per il preteso attentato di Renzo Piano alla sacralità iconica della un tempo contestatissima Notre Dame du Haut. Tuttavia, a Settembre del 2011, quando una folla di occhi e telecamere ha potuto ispezionare l’oggetto del contendere, le polemiche sono affogate in un mare di estatica meraviglia: immersi tra gli alberi e in buona parte incassati nel pendio che digrada ai piedi dell’opera di Le Corbusier, i vuoti e i pieni generati per diventare un monastero di Clarisse e il centro d’accoglienza dei visitatori di Notre Dame du Haut non soltanto evitano qualsiasi conflitto visivo con l’insigne antecedente ma aggiungono al luogo l’ulteriore attrattiva sprigionata da Renzo Piano con incontestabile genialità ideativa e soave eleganza formale.

Stesso epilogo per l’auditorium firmato da Renzo Piano che si sta costruendo a due passi dal Forte Spagnolo dell’Aquila, una delle piú illustri architetture militari del Rinascimento? Probabile. E, tutto sommato, auspicabile. La conclusione dei lavori è annunciata per fine estate. A quel punto, saranno trascorsi piú di tre anni dal rovinoso terremoto del 6 Aprile 2009 senza che un solo frammento delle antichità racchiuse nei trecento ettari di centro storico abbia trovato ristoro.

Di polemiche se ne sono accese piú d’una. Inevitabili: parafrasando Croce, che aveva in mente la filosofia, “ogni architettura è sempre polemica”, perché il tasso di creatività è inevitabilmente innovativo e perciò vivacemente critico rispetto a luoghi comuni e convenzioni. Dell’edificando auditorium è stata contestata la localizzazione, a ridosso di una gran fabbrica rinascimentale e nel cuore di un prezioso lacerto di verde urbano: argomento che, a lavori alacremente in corso, si configura mestamente solo come l’occasione sprecata per intavolare un esauriente quanto fattivo dibattito preliminare. S’è detto che gli appena 240 posti per il pubblico sono troppo costosi rispetto all’investimento di oltre 6 milioni di euro. È stato evidenziato che la nuova struttura espande la pletora di piccole sale e aggrava le complessive difficoltà municipali di manutenzione e gestione, mentre v’è bisogno di almeno un contenitore capace di accogliere diverse centinaia di spettatori. S’è gridato che v’è bisogno d’altro e di maggior momento, rispetto a un “salottino” dedicato a una sparuta élite di musicofili. Aggiungerei una mia perplessità: pur se non si tratti di un frequentatore di ambienti musicali, chiunque dall’esterno intuisce cosa contengano la Royal Albert Hall di Francis Fowke e Henry Darracott Scott a Londra, l’Opera House di Jørn Utzon a Sydney, la Roy Thomson Hall di Arthur Erickson a Toronto e cosí via; all’Aquila, Piano reitera, ovviamente secondo ben piú modesta scala, il modulo utilizzato per il Parco della Musica; forme senz’altro suggestive, i 3 scarabei di Roma come i 3 cubi dell’Aquila; tuttavia, in entrambi i casi l’aspetto nulla esprime dell’interiore destinazione d’uso, laddove ci hanno insegnato che la relazione logica tra esterno e interno è uno dei fattori fondanti dell’invenzione architettonica.

Didascalia:

Planimetria dei tre cubi in cui è articolato l’auditorium di Renzo Piano in costruzione accanto al Forte Spagnolo dell’Aquila.

 

Gli scarabei di Roma mi piacciono poco e probabilmente tanto meno mi piaceranno i cubi dell’Aquila. Però, a prescindere da ogni rispettabile ma opinabilissimo gusto personale, se il Parco della Musica ha salvificamente rivoluzionato la vita, non solo artistico-culturale, di una super-città qual è Roma, nella piú ristretta realtà aquilana non potrebbe accadere qualcosa di analogo, grazie all’auditorium di Renzo Piano?

All’Aquila c’è urgente bisogno di uno shock mentale che avvii finalmente la ricostruzione vera, quella economica, quella morale e quella materiale. Per quest’ultima, finora s’è fatto solo maquillage, spesso pessimo, nelle periferie. Quanto al centro storico, ancora si tentenna esageratamente. È vero, in primo luogo per responsabilità di governanti nazionali e regionali che troppo hanno badato a sfruttare il terremoto “sibi et suis”, ma è pur vero anche per responsabilità di troppe chiacchiere da cortile, specialmente di quelle animate dal miope egoismo di chi esige “tutto com’era e dov’era”, pretendendo pure il “restauro” delle non poche brutture sfasciate o problematizzate dal vigore tellurico.

L’opera di Renzo Piano, riuscendo - questo è l’auspicio - a dimostrare plasticamente che l’innesto del moderno accanto all’antico non è una bestemmia ma anzi può costituire una risorsa, esprimerà un potente contributo per infondere nella comunità coraggio e fantasia: quel coraggio e quella fantasia finora latitanti che, invece, sono indispensabili per dimostrarsi degni eredi di quei saggi antenati i quali, dopo ogni scrollone di Madre Natura, vollero risanato il meritevole di risanamento e il resto seppero rimpiazzarlo con accorto piglio innovatore.

Didascalia:

Traduzione visiva della relazione tra le opere di Piano e Le Corbusier a Ronchamp: sono ben evidenti gli accorgimenti con cui i nuovi fabbricati (a sinistra, in basso) evitano qualsiasi conflitto con la celebre cappella disegnata da Le Corbusier.

Comunque, di polemiche e distinguo s’è fatto il pieno e ormai non è lecito non avere attenzione se non per la concretezza, per la capacità di ragionevole proposta, per l’agire razionalmente. Un governo regionale all’altezza del ruolo assegnatogli dalla Costituzione avrebbe dovuto immediatamente chiamare l’Amministrazione dello Stato a rispondere davanti la giurisdizione di violazione dell’art. 3 della Costituzione («Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge») per non aver tutelato la capitale dell’Abruzzo e le altre comunità devastate dal terremoto con il medesimo metro applicato in precedenti analoghe circostanze. Un’oscura ma non orfana trama va perseguendo la sistematica delocalizzazione delle strutture universitarie e sanitarie, cioè dei due principali pilastri dell’attuale impalcatura economica. La popolazione piú anziana viene progressivamente risucchiata nel baratro dell’alienazione o falciata da decessi prematuri. I piú giovani affondano nelle sabbie mobili della disperazione o s’avviano a tentare la sorte altrove.

Di fronte a queste emergenze, ben piú esiziali della “ballata” del 6 d’Aprile, appare tragicamente ridicolo seguitare a far chiacchiere e crogiolarsi nelle polemiche. L’auditorium di Renzo Piano lo si sta costruendo, lí resterà per i venturi secoli, presumibilmente sarà una cosa bella da vedere, certamente terrà desta l’altrui attenzione verso la città: tocca a tutti di farsene una ragione, di farla finita con il ruminarci sopra e di volgersi a piú fruttuosi impegni d’autentico interesse pubblico.

Infine, l’auditorium di Renzo Piano è un frutto dell’intelligenza e del sapere: dunque, esso darà a tutti una mano per crescere. Già, crescere! Si cresce se si va avanti, se ci si libera lungo il cammino delle zavorre in cui ci illudiamo di trovare tepore e sicurezza, se comprendiamo che la realtà non è un’immagine mummificata ma un flusso in continuo divenire. Quelli di Ronchamp l’hanno capito da un pezzo, visto che nel civico stemma hanno inglobato una famosa espressione di Eraclito: “panta rhei”, cioè, letteralmente, “tutto scorre”, il che sostanzialmente vuol dire “la realtà è in continuo divenire”.

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