Il manifesto della peggiocrazia

Non sono riuscito a staccarmi, da qualche giorno, da un articolo di Luigi Zingales (nella foto), economista dell’Università di Chicago, pubblicato su “IL”, il mensile de Il Sole24ore, periodico che consiglio a tutti i miei amici che con solo 50 cent potranno leggere un ottimo giornale.
Parla della peggiocrazia e forse gli è venuto in mente perché giornali e notiziari di questi ultimi mesi ci stanno facendo cadere in uno stato di profonda depressione come sempre capita all’uomo quando si sente inerme contro l’incognito che incombe con i suoi misteri pronto a pennellare col colore del buio un presente incerto e un futuro prevedibilmente drammatico. Ci dicono che tutto dipende dalla crisi della finanza internazionale e, per quanto ci riguarda, di quella italiana. In realtà credo che la disfatta è non solo economica ma anche politica e morale. Alcuni recenti articoli letti su questo sito, critici in relazione a discutibili scelte di opere di interesse pubblico, avvalorano le posizioni di questo illustre economista.
“Se l’Italia non cresce – dice Zingales – se è a rischio di default, è perché l’Italia è stata fin qui governata dai peggiori. Non i mediocri, i peggiori. Il nostro Paese si è trasformato in una peggiocrazia. In Italia manca una cultura del merito perché manca una cultura della legalità. Se io, politico (capo di partito o capo di governo), voglio ottenere dei benefici o dei favori che non mi competono, non nomino un candidato competente, ne nomino uno fedele. Se io, imprenditore, voglio assicurarmi che le mie tangenti, le mie evasioni fiscali, i miei intrecci col potere politico non vengano rivelati, non scelgo il manager migliore, ma quello più fedele. E non c’è persona più fedele del buono a nulla, che non ha alternative. Il clientelismo politico e l’economia sommersa hanno creato la peggiocrazia".
Questo il motivo per cui in Italia si trovano le migliori segretarie e i peggiori manager. In un sistema che non premia il merito, molte persone, molte donne che avrebbero le capacità di essere manager sono confinate al ruolo di segretarie, mentre i posti dirigenziali sono affidati a chi è ben introdotto, anche se spesso incapace. Questo clientelismo è il motivo per cui il nostro Paese si trova in una profonda crisi. Nella competizione globale vince il migliore, non il compare, il raccomandato politico o il figlio di papà. Come uscirne? Non è facile. Abbiamo bisogno di una terapia d’urto. Laddove non esiste la fiducia in un sistema meritocratico, tutti investono in raccomandazioni e nessuno investe in capitale umano. Il clientelismo genera clientelismo. Dobbiamo spezzare questo circolo vizioso. Per farlo è necessario un pacchetto congiunto di proposte: alcune che creino i meccanismi per una selezione meritocratica, altre – ancora più importanti – che creino le condizioni affinché convenga a politici e imprenditori scegliere in base alla conoscenza e non alle conoscenze”.
Forse Zingales non ha fatto sconti pur avendo potuto o dovuto, forse le eccezioni nella peggiocrazia si disperdono come le lucciole a primavera, forse dovremmo discutere su questi concetti che non sono innovativi ma di certo da qualche parte d’Italia appaiono ancor più rivoluzionari.
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