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Il lato chiaro della fiaba: recensione di “Alice’s room”

Lo ammetto, di solito la danza mi fa rimanere perplesso: un po’ insiste il pregiudizio, stupido, del maschio che non va al balletto; un po’ la scarsa esperienza. Diciamolo, pur avendo accumulato una qualche competenza nella prosa, nella danza sono un profano. Perciò sono rimasto sorpreso ancora di più, dopo aver assistito ad “Alice’s room”, coreografia della siciliana Giovanna Velardi, per due serate al Napoli Teatro Festival, sezione E45 Fringe. Sorpreso dalle mie reazioni: non è professionale, anche per un critico in erba, volere abbracciare gli attori a fine rappresentazione. E non perché durante la giornata avevamo legato, già dalla mattina, con la compagnia, quando Giovanna Velardi è arrivata al Teatro Sannazaro ed ha iniziato ad adorarlo come la bimba nella casa delle bambole, o quando Alice Zanoni stendeva la rete a terra ed io rischiavo di cadere, bruscamente, faccia a terra nel foyer. No, questo non c’entra: sennò non ne parlerei. Il fatto è che di questa lettura del mito nato dalla penna di Carroll, alla fine, ti resta un’immagine di potenza, precisa narrazione, straordinaria esecuzione. Cinquantacinque minuti di ebbrezza estetica e dramma denso di contenuti. Premetto che, più che al capolavoro Disney, mi sembra che l’idea della Velardi attinga alla versione in stop motion di Svankmajer, regista cecoslovacco, il cui titolo originale “Neco z Alenky” l’ho metto apposta dopo perché sennò suonava troppo intellettuale. Se volete vederlo è presto detto, ne linko l’inizio. 

Me lo hanno rievocato i movimenti frenetici di inizio spettacolo, e il clima ansiogeno sottolineato da vocine stridule che fanno a gara a non farsi capire. Il tutto, officiato dalla Velardi nelle vesti della Regina di Cuori, da sempre faccia uguale e contraria della bambina nel paese delle meraviglie, interpretata dalla Zanoni la cui formazione, meno contemporanea della coreografa, sembra, anche nella danza, opporre l’altra faccia della luna. Infatti, Alice è al di là di una rete che sottolinea barriere e difficile comunicazione, aria e luce ma dentro ad un recinto metallico.

Questa Alice al quadrato fa quello che vuole del suo corpo, a velocità da capogiro. I ballerini di contorno, di cui ricordiamo Dario Tumminia per la maestria nella break, Simona Miraglia ed Emanuela Fenech come didascalie della stessa protagonista, Giuseppe Muscarello per un ruolo “fisico” di conquista dello spazio, fanno da doppi di Alice e la inchiodano al suo destino. Che è quello del confronto speculare (“Alice nel mondo dello specchio” è la fiaba da cui è tratta la versione più nota) con la Regina. Più che potere-fantasia la polarità è rimessa allo scontro adulto-bambino, a mio avviso. La stanza di Alice è l’ultimo passo prima di crescere, prima di finire ingarbugliati nella rete (magnifico il passaggio della Zanoni avviluppata dal recinto: una farfalla al contario, che torna nel bozzolo) della conoscenza, dell’età dei grandi. 

Un messaggio semplice, perciò riesce immediato: nel gioco di luci orchestrato da Antonio Giunta, introdotti da un tonante Brucaliffo come Franz Cantalupo, che propone il refrain “Chi essere tu?” declinandolo in un monito, e immersi in una colonna sonora che più varia non si può, dalle arie classiche al rap impossibile di Hugues Le Bars. Lo spettacolo sarà in tournèe in tutta Italia nella prossima estate, guai a chi lo perde e beato chi non l’ha ancora visto.

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