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Il lager Turchia continua a uccidere

Un messaggio dal carcere dell’avvocato Aytaç Ünsal e un appello per sostenerlo. A seguire Serkan Xozatli e Nelly Bocchi ricordano cosa sta accadendo sotto Erdogan.



L’avvocato Ebru Timtik e l’avvocato Aytaç Ünsal hanno iniziato uno sciopero della fame il 5 febbraio e hanno trasformato il loro sciopero in death fast il 5 aprile. Siamo preoccupati per la loro salute. Come è noto 18 «avvocati del popolo» in Turchia sono in carcere dal 2017 e sono stati condannati a 159 anni di carcere con tutte le falle procedurali dei vari casi e violando il loro diritto alla difesa. I giudici che all’inizio avevano emesso il verdetto di scarcerazione furono rimossi dall’incarico e dopo poche ore sono arrivati nuovi ordini di arresto per tutti gli avvocati rilasciati. Con il loro sciopero della fame chiedono una giurisdizione indipendente dalla politica e rivendicano il diritto a un processo equo.
Una petizione è stata lanciata per supportare le loro richieste. Per firmarla, scrivere una mail – indicando nome, lavoro e località – a [email protected]
Per altre informazioni: [email protected]

Lettera dal carcere dell’avvocato Aytaç Ünsal
«Volevo parlarvi di me perché penso che vi interessi il motivo che porta un avvocato a fare lo sciopero della fame. Nella mia storia personale sono racchiuse le ragioni per cui un legale ha scelto di incamminarsi verso la morte. Purtroppo è una storia che riguarda in realtà tutti noi.
[…] Ho avuto la fortuna di avere come madre una magistrato. Essere consapevoli del meccanismo giudiziario sin dall’infanzia è un buon modo per imparare l’importanza dei diritti e della giustizia. Ma ho conosciuto anche l’ingiustizia da bambino: c’erano differenze in classe, c’erano differenze con le persone più povere delle città in cui ho vissuto.
[…] Quando mi sono trasferito ad Ankara per studiare all’università, la maggior parte degli studenti della facoltà di giurisprudenza erano figli di famiglie benestanti. Erano lontanissimi dalla realtà dei milioni di poveri che avevo conosciuto trasferendomi in molte città della Turchia per motivi di lavoro dei miei.
Sapete quando nei film turchi si usa l’espressione “persone di un altro mondo?” Erano proprio quelle lì. Le loro giornate e i loro problemi erano troppo diversi da ciò che avevo visto. Non mi sentivo a mio agio e non ero felice.
Ero abituato al rapporto con la gente umile: aperto, sincero, caloroso. Da bambino ho imparato a considerare solo ciò che fosse giusto, senza pregiudizi, sapendo ridere e soffrendo con chiunque. All’università cercavo nelle persone i valori dei miei amici di infanzia, ma mi sentivo come se fossero improvvisamente scomparsi.
Poi sono entrato in contatto con l’Ufficio legale popolare, e lì ho realizzato che quelle persone oneste in realtà erano ovunque. Milioni e milioni: li ho trovati di nuovo, li ho trovati nella resistenza di Cansel Malatyalı a cui ho partecipato. Li ho conosciuti con i lavoratori di Kazova. Li ho visti nella miniera di Kınıklı. Li ho trovati in Didem, mia cara moglie, anche lei avvocata dell’Ufficio legale popolare. Dopo averli trovati di nuovo, non li ho mai lasciati soli.
Non ho mai lasciato indietro le persone più vulnerabili. Ho vissuto i momenti più felici della vita mentre difendevo i più deboli nei tribunali. Grazie al mio lavoro di avvocato ho conosciuto il valore della vita e delle singole persone. L’ufficio legale popolare mi ha insegnato la vita in termini reali.
[…] Ora mi stanno costringendo a rinunciare a tutto questo. Dicono che non puoi difendere gli operai, gli abitanti del villaggio, la gente dell’Anatolia. Dicono che non puoi essere un avvocato presso l’Ufficio legale popolare. Dicono che non puoi vedere Didem per i prossimi dieci anni e mezzo. Stanno cercando di mettere al bando le persone, il Paese, il mio amore, la mia professione.
Ma queste non sono cose senza valore a cui puoi semplicemente rinunciare. Non è abbastanza semplice dire “Beh, non c’è niente da fare.” Io non rinuncerò mai alla mia gente, all’Anatolia, che mi ha insegnato la vita, che mi ha reso umano con il suo sforzo. Morirò ma non mi arrenderò.
Questa è la storia del mio viaggio. Resisterò alla morte come Mustafa Koçak e come İbrahim Gökçek che è morto pesando 30 chili. Fanno parte della mia famiglia già da quando eravamo bambini. Io sono stato loro avvocato fin dall’infanzia. Morirò, ma non smetterò mai di difenderli!
Aytaç Ünsal»
La lettera è stata ripresa su www.open.online (da lì abbiamo ripreso le due foto; in quella qui sotto Aytaç Ünsal è con la moglie) e da alcuni siti solidali; completamente ignorata dai grandi media. Su www.open.online segnaliamo il post «Dai ragazzi di Greta alle piazze turche, da Tom Waits ai Modena City Ramblers: 100 modi di cantare Bella ciao»

 

Serkan Xozatli e Nelly Bocchi ricordano cosa sta accadendo sotto Erdogan

«Camminavano in prima linea
Abbracciati alla morte


Non si arresero
Non si sono tirati indietro
Hanno detto che la loro decisione era definitiva!
Helin Bölek
Mustafa Koçak
Ibrahim Gökçek
Sono immortali!»
Così il Grup Yorum ricorda i suoi tre martiri recentemente uccisi da una dittatura spietata, che non permette di cantare le loro canzoni di lotta e di denuncia . Cantavano dei minatori sfruttati, di chi si ribellava ai matrimoni forzati, al patriarcato, al pensiero unico. Cantavano di Berkinim, un ragazzino di 14 anni, colpito alla testa da un candelotto lacrimogeno sparato dai militari a Gezi Park, rimasto in coma per 269 giorni e poi spirato. Il suo assassino fu assolto da magistrati corrotti. Cantavano la libertà, la speranza, l’amore per una vita giusta per tutti e tutte. Una colpa terribile per chi quella libertà la sta cancellando con la violenza.
Anche ora lo sciopero della fame fino alla morte non si ferma:Aytac Unzal e Ebru Timitik, avvocati del popolo, da febbraio rifiutano il cibo.
Anche la vedova di Ibrahim, Sultan Gokcek e Bergun Varan, componenti del gruppo, sono detenuti: l’udienza del processo in cui sono imputati è stata spostata dal 20 maggio al 16 luglio.
Si può esprimere solidarietà alle vittime della repressione dello Stato turco inviando messaggi in video e foto in cui ci si ritrae con cartelli e striscioni agli indirizzi:
[email protected]
[email protected]
attraverso WhatsApp al numero +49.163.445.2918
sui profili personali di facebook
Il Grup Yorum nasce negli anni ottanta, è costituito da musicisti provenienti da diverse parti della Turchia, in un mosaico di lingue, di storie personali, di sensibilità, accomunati però dall’amore per la giustizia, per il rispetto dei diritti, per la libertà e l’attenzione a chi soffre le ingiustizie. Sono per la Turchia come gli Inti Illimani per l’America latina: i cantori del popolo. I loro concerti, invisi al regime, radunavano folle immense, così la loro sede cominciò ad essere perquisita e distrutta dalla polizia, il gruppo arrestato, con l’accusa di terrorismo. Sì, in Turchia chi dissente è un terrorista .
Anche Nûdem Durak, una musicista kurda è una terrorista.. la sua colpa? cantare in kurdo. La sua condanna? 20 anni di carcere. Anche per lei è in atto una campagna internazionale per chiedere la sua liberazione (Facebook: https://www.facebook.com/nudemdurak/
• Twitter: https://twitter.com/NudemDurak
• Instagram: https://www.instagram.com/freenudem...
• Youtube: https://www.youtube.com/channel/UCB... )
Per il tiranno Erdogan non è terrorista solo chi fa musica popolare. Le carceri sono piene di scrittori, giornalisti, avvocati, insegnanti, giornalisti , politici. A causa della pandemia di Covid 19 sono stati amnistiati moltissimi delinquenti comuni, mafiosi, violentatori, non i prigionieri politici, detenuti solo per le loro idee. Restano in carcere, senza alcuna protezione per il Covid, i deputati HDP e i sindaci, democraticamente eletti, delle città kurde (a breve partirà anche in Italia una campagna ad hoc).
Migliaia di storie sono soffocate da un regime che ha nel terrore e nella repressione le proprie fondamenta e bolla chi dissente come un terrorista. Erdogan continua a lastricare di cadaveri la sua storia politica, agevolato dall’indifferenza degli Stati europei che gli si rivolgono solo quando hanno bisogno dei suoi metodi per fermare migranti o per vendere armi da usare in Turchia ma anche in Siria e in Libia contro chiunque vada contro il suo interesse. In questo quadro le storie di Ibrahim, Helin Mustafa, Aytac, Ebru, Sultan, Bergun – che hanno cantato di diritti, di libertà e di lotta, morti o detenuti per poter suonare e cantare- sono il ritratto del clima che si respira nella Turchia di oggi.
Noi, anche se pochi e finora inascoltati, continueremo a sostenere la lotta contro la repressione in Turchia, in solidarietà con tutti i detenuti politici nelle carceri turche, a fianco dei popoli che combattono per la libertà.
Serkan Xozatli e Nelly Bocchi

Foto di Engin Akyurt da Pexels

Questo articolo è stato pubblicato qui

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