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Il governo del futuro di Noam Chomsky

Ne libro “Il governo del futuro” di Noam Chomsky si può guardare l’essenza del marxismo negli occhi senza sentirsi risucchiati in un pedante corso universitario.

Questo sintetico e significativo resoconto di un seminario del 1970 contiene delle vere perle rare di saggezza come questo pensiero di Bakunin del 1870: “La burocrazia rossa è la menzogna più abietta del nostro secolo. Prendi il rivoluzionario più radicale e mettilo sul trono di tutte le Russie, conferiscigli poteri dittatoriali… e nell’arco di un anno sarà peggio dello stesso Zar”(p. 28). Oppure pensate a queste parole di Wilhelm von Humboldt: lo stato tende a “rendere l’uomo uno strumento per le proprie arbitrarie esigenze, trascurandone i fini individuali… Nulla favorisce la maturità per la libertà quanto la libertà stessa. Questa verità non verrà forse ammessa da chi si è spesso servito dell’immaturità come scusa per la repressione. Ma, secondo me, essa deriva indiscutibilmente dalla stessa natura umana. L’impossibilità della libertà può solo emergere da una carenza di forza morale e intellettuale; corroborare tale forza è l’unico modo per compensare la carenza, e questo esercizio presuppone la libertà che risveglia spontaneamente l’attività. Chi non lo capisce potrebbe essere sospettato di equivocare sulla natura umana e di voler trasformare gli uomini in macchine” (1782, Limits of State Action).

Quindi lo stato può essere disumano e può impedire lo sviluppo armonioso della personalità dei singoli. E può essere più rivoluzionario un produttore frustrato di un consumatore insoddisfatto (Karl Marx). Il liberalismo classico sarebbe quindi anche una filosofia anticapitalista se non fosse stato trasformato dalla moderna ideologia capitalista corrotta del debitalismo privato e pubblico. Per liberalismo classico non si deve però intendere il fondamentalismo del mercato: il mercato che si autoregola “non avrebbe potuto esistere a lungo senza annichilire la sostanza umana e naturale della società; avrebbe devastato fisicamente l’uomo e trasformato l’ambiente in un deserto” (Karl Polanyi, La grande trasformazione).

L’attuale capitalismo, insieme all’aumento smodato della popolazione ha poi instaurato un asservimento che già Simon Linguet nel 1767 ha definito come un male peggiore della schiavitù: “è l’impossibilità di vivere con altri mezzi a costringere i nostri muratori a costruire edifici in cui non abiteranno. È il bisogno a trascinarli nei mercati, in attesa di padroni che gli faranno la cortesia di comprarli. È il bisogno a obbligarli a inginocchiarsi davanti all’uomo ricco per poterlo arricchire… Quale vantaggio effettivo ha procurato loro l’eliminazione della schiavitù? Tutto quel che hanno guadagnato consiste nell’essere sempre tormentati dalla paura di morir di fame, una calamità risparmiata ai loro predecessori (schiavi). È libero, mi dici. Ah! È la sua sfortuna… Si dice che questi uomini non abbiano padroni… ne hanno uno, il più terribile, il più arrogante di tutti, ossia il bisogno”. Questa realtà rimane anche nel 2009, anche se la tecnologia che usiamo oggi permette in molti casi di eliminare il lavoro che intontisce e trasforma gli operai in strumenti specializzati della produzione, e permette in via di principio di offrire molto tempo libero e occasioni di istruzione per imparare ad avvalersi delle informazioni in modo indipendente e razionale (Chomsky, p. 37).


In questo modo si possono valutare criticamente i due sistemi di potere principali della società: quello politico e quello economico. Il primo è pubblico e in genere viene selezionato dal popolo, mentre il potere economico è privato e tende a sfuggire i controlli pubblici. Gli effetti di pratici questa organizzazione sociale sono quelli di introdurre in maniera più o meno sottile “una mentalità autoritaria in gran parte della popolazione, che è soggetta a decreti arbitrari imposti dall’alto… A mio avviso, la cosa più importante ed entusiasmante del movimento giovanile degli ultimi anni è la sfida lanciata ai modelli autoritari per cominciare a eroderli” (Chomsky, p. 39). Ma “purtroppo, le canaglie non si possono far fuori con il voto, perché semplicemente non sono mai state elette. I grandi manager e gli avvocati delle multinazionali che occupano i posti di preminenza nell’esecutivo (assistiti sempre di più da una classe dirigente di provenienza accademica) restano al potere a prescindere da chi si elegge” (p. 41-42).

Dunque i veri politici con le palle non esistono più e nessuno si vuole arrischiare a inimicarsi nessuno. A quei livelli prima o poi si potrebbe avere bisogno di uno qualsiasi di quei professionisti dal denaro facile. Inoltre in economia esiste una sola categoria di beni ultracostosi che si possono produrre quasi all’infinito, anche perché invecchiano rapidamente e sono soggetti a uno spreco incalcolabile: le armi (Alfred Chandler, un conservatore storico dell’economia). Per questo il governo funge talvolta da “ultima risorsa per la coordinazione, se i manager non sanno mantenere un alto livello di domanda aggregata” (Chandler), cioè quando gli imprenditori non riescono a vendere i loro prodotti superati dai tempi o troppo costosi. E in molti casi si decide di entrare in guerra contro qualcosa e contro qualcuno.

Dunque la storia ha prima trasformato gli schiavi in servi e poi i servi in salariati e forse si accinge a trasformare i salariati in uomini liberi eliminando il lavoro-merce, ponendo fine alla schiavitù salariale e mettendo sotto controllo democratico le istituzioni commerciali, industriali, finanziarie e bancarie (Martin Buber, Paths in Utopia, 1958). Si è passati dai governi dei Re, a quelli aristocratici e alto borghesi, poi a quelli della media e piccola borghesia. E sembra che l’onda della storia stia per portare sulle nostre spiagge il vero governo popolare dei liberi cittadini.

P. S. Mark Twain ha affermato: “per bontà divina, nel nostro paese abbiamo tre cose indicibilmente preziose: libertà di parola, libertà di coscienza e l’accortezza di non praticarle mai”.

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