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Il giorno dopo, Corrida #27


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Il giorno dopo. Come se sempre ci dovesse essere un giorno seguente, come se sempre fosse tutto pianificabile. Spesso diciamo di chi muore "ha avuto una vita così o cosà", come se ci fossero altre possibilità, come se ci fossero altre vite, la verità è che si dovrebbe dire "la" vita. La sola. Stetti sveglio tutta la notte, pensando che non ci sarebbe stato un giorno dopo, con la paura di addormentarmi, guardando negli occhi il sole sorgere lentamente, bagnare di colore le fronde degli alberi, i fili d’erba e tutta la radura.

Ero immerso nel niente. Sembrava non ci fosse una casa, una strada per miglia, non avevo alcuna idea di dove mi trovassi, e tuttavia tirai un colpo di reni e mi alzai, deciso a camminare.

I fatti, le vicende storiche, sono strane, sembra che nulla si muova per giorni, mesi e forse anni, e poi, ad un tratto, ogni cosa viene mossa come da un impeto frenetico, e tutto crolla o si costruisce. A termine di questo rapidissmo moto, sembra sempre che ogni cosa abbia finalmente trovato il suo posto, ma è chiaro che è per poco, che è solo quiete apparente.

Così, dopo una notte intera di calma apparente, di immobilismo, senza un perchè, i miei muscoli raccolsero le forze e decisero che era ora di camminare. Scoprii ben presto che la fatica era amica del dolore, riusciva a controllarlo, svuotando in un qualche modo i pensieri.

Così camminai, camminai e camminai, senza sosta, giorno e notte.
La gente mi guardava, alcuni salutavano, altri chiedevano, altri ancora accompagnavano la mia solitaria marcia con uno zufolo improvvisato sul momento da una canna. Cercavo di non fermarmi, se non era strettamente necessario, ed accettavo i pasti che lungo la strada mi venivano offerti, ma niente di più, cercavo di evitare ogni contatto umano, finii per dimenticare la parola, cominciai a pensare per immagini e sensazioni.

Vi siete mai chiesti cosa sogna, cosa pensa un bambino che ancora non possiede l’uso della parola?
Un bambino che deve ancora nascere, sogna, pensa. Un bambino appena nato, un bambino di pochi giorni o uno di qualche mese, prenderà spunto dall’esperienza come tutti noi, dalle immagini, dalle sensazioni, dal freddo, dal caldo, dalla paura, dalla gioia, dal dolore e così via. Se non si hanno vocaboli, se non si ha un vocabolario, si pensa per immagini, per sensazioni, per suoni inarticolati, e odori. Il pensiero può esistere senza la parola, questo mi appare chiaro.

E se mi aveste incontrato lungo il cammino sarebbe apparso chiaro anche a voi.
Grugnivo, ma non solo perchè mi fossi convinto di aver dimenticato la parola, piuttosto perchè mia deguavo senza ripensamenti al mio ruolo di nomade incolto, come un ultimo uomo sulla terra, come un relitto preistorico abbandonato alle sue sole gambe in giro per il mondo.

Le parole sono importanti
, mi dideva mio padre, una volta. Mi invitava a sceglierle dal calderone della mente, uan ad una, con precisione instancabile, per trovare le più adatte, le più giuste e peculiari per la frase. Ogni sfumatura di senso una parola.

Le parole non sono poi molto importanti, papà
, gli avrei risposto allora grugnendo. Purtroppo non avrebbe capito. Al contrario, io cominciavo a capire. Discostarsi dai suoni umani provoca un irrefrenabile avvicinamento ai suoni della natura, porta a comprendere il mugugnare di un animale, il suo perchè. Non ci crederete, ovvio, ma a suo tempo avrei potuto tranquillamente sostenere una intera discussione sul cibo con un cane.

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