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Il giornalismo italiano è sostenibile?

L’ultima ricerca dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) in materia di editoria giornalistica analizza approfonditamente i trend e i dati degli ultimi anni e lascia diversi interrogativi sulla sostenibilità della professione così com’è strutturata oggi. Ad uscirne con le ossa rotte è soprattutto l’Italia, dove le redazioni sono sature e le vendite in calo, nonostante le più alte sovvenzioni statali dell’area OCSE.

In passato è accaduto spesso che a un aumento di assunzioni giornalistiche (e conseguente diversificazione del lavoro) corrispondesse una maggiore vendita di copie dei quotidiani. Sebbene questo dato non abbia più la forza di un tempo, ancora oggi nella stragrande maggioranza dei paesi membri dell’OCSE la presenza di un buon numero di giornalisti garantisce una discreta vendita di copie.

Come si evince dalla tabella sottostante, il rapporto tra il numero dei giornalisti e le copie vendute è molto positivo sia in Svezia che in Norvegia, dove a un altissimo numero di assunti corrisponde un elevato tasso di vendita dei quotidiani.

giornalisti vendite Il giornalismo italiano è sostenibile?

Ma è il Giappone a segnare un vero e proprio boom di vendite nonostante i giornalisti impiegati siano molto pochi. L’unica nazione in cui il rapporto giornalisti/vendite è negativo è l’Italia, con il peggior dato di diffusione nonostante l’alto numero di giornalisti nelle redazioni. Confrontare la diffusione dei giornali più venduti in Giappone e in Italia è esemplificativo: oltre 14 milioni per lo Yomiuri Shimbun, circa 500 mila per il Corriere della Sera.

Un altro fattore analizzato nella ricerca dell’OCSE riguarda la redditività: alcuni paesi come Norvegia, Germania e Finlandia sono riusciti a tenere alta la percentuale di guadagno (9-15%) anche grazie ad alcuni aggiustamenti dell’organico. Chi non l’ha fatto, come l’Italia, ha registrato una redditività non altissima (6%) ma comunque più alta di quella della Svezia (2%) che non solo ha dovuto riorganizzare gli organici, ma ha anche registrato un tasso di redditività basso.

redditività fondi Il giornalismo italiano è sostenibile?

Arriviamo alla questione spinosa dei contributi all’editoria. Nonostante il tasso dei quotidiani venduti in Italia sia il più basso dei paesi OCSE, le casse delle aziende giornalistiche italiane sono quelle che ricevono i più consistenti aiuti economici statali. I sussidi diretti ai giornali nel 2008 hanno raggiunto in Italia i 150 milioni di euro, un’enormità se confrontati con gli altri paesi in cui sono previste sovvenzioni pubbliche all’editoria (tra cui gli stati scandinavi, la Francia, il Belgio e l’Austria).

Addirittura in molti paesi dell’OCSE tra cui gli Stati Uniti, la Germania, il Regno Unito, la Spagna e l’Australia i contributi alle imprese giornalistiche non esistono affatto. Le uniche agevolazioni sono di natura fiscale, tramite la riduzione o la cancellazione dell’IVA sulle copie cartacee.

In conclusione, l’editoria giornalistica italiana dovrebbe trovare un modello economico alternativo a quello attuale costantemente in perdita e troppo dipendente dal denaro pubblico. Costruire prodotti di qualità, come i giornali giapponesi, aiuterebbe senz’altro.

di Giuseppe Ceglia

Commenti all'articolo

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.56) 15 marzo 2012 11:28
    Damiano Mazzotti

    Non si considera un fattore importante: l’ambiente fisico e sociale. In Italia è quasi sempre bel tempo e si passa il tempo a perdere tempo a parlare con amici, vicini, familiari.

    Io sono un’amante della lettura, ma se devo passare il tempo sui giornali italiani a leggere una larga maggioranza di stronzate, peferisco informarmi da amici e familiari, pure al bar, per sapere cosa accade nella vita vera.

    Poi in Italia il calo dell’interesse politico e quello nei confronti di quotidiani e soprattutto settimanali e legato allo stesso motivo... Si raccontano troppe stronzate che non servono a niente.

  • Di Geri Steve (---.---.---.59) 15 marzo 2012 14:48

    Eh si... il problema di qualità c’è di certo, ma per capirlo ci vorrebbe un’analisi di qualità, cosa che in quest’articolo proprio manca.

    Che cosa c’entra il "modello economico" quando nell’articolo si mettono insieme giornali inesistenti come Il foglio o L’avanti, che ricevono lauti contributi, con IL FATTO QUOTIDIANO che i lettori ce li ha e i contributi non li riceve?

    D’altra parte, cosa ci si può aspettare da un analfabeta come l’autore?  Di fronte ad un grafico in cui si vede che l’Italia è l’unico paese in cui un indicatore di giornalisti è più alto di un indicatore di giornali e quindi che il rapporto fra i due indicatori è maggiore di uno, il nostro arguto autore ci scrive che il rapporto giornalisti/vendite è negativo !!

    Passi (e già non è poco!!) per il confondere gli indicatori con i numeri di giornalisti e di vendite, ma chiamare Negativo un numero positivo e maggiore di uno mi sembra un po’ troppo!

  • Di (---.---.---.59) 15 marzo 2012 19:14

    @Geri Steve
    Punto primo: ho usato la parola "negativo" proprio per indicare la ricaduta sulle vendite di un modello in controtendenza rispetto alle altre nazioni analizzate (molti lavoratori e pochi guadagni non sono mai un fattore positivo). Il "rapporto" di cui parlo non è da intendere matematicamente (almeno non in quella frase), altrimenti è chiaro - come lei sottolinea - che il risultato sia nel nostro caso sempre positivo (anche se non sempre superiore all’uno).

    Punto secondo: non ho confuso nessun indicatore, semplicemente mi sono rifatto ad altri dati presenti nella relazione OCSE che per motivi di opportunità non ho inserito graficamente.

    Punto terzo: è vero che il Fatto Quotidiano non riceve contributi per l’editoria ma è anche vero che è un’eccezione. Il rapporto OCSE analizza i dati di chi quei contributi continua a prenderli, non chi ne fa a meno.

    Punto quarto: la ringrazio per il vivace epiteto affibiatomi, ma la prossima volta le consiglio di evitare refusi alla seconda parola; in caso contrario le sue tesi risulteranno poco credibili tanto quanto le mie.

    Giuseppe Ceglia

    • Di Geri Steve (---.---.---.231) 15 marzo 2012 20:20

      Ho poca voglia di rispondere, ma neanche sono disposto ad essere preso in giro.
      Mi dispiace, ma lei ha scritto esattamente:

      "L’unica nazione in cui il rapporto giornalisti/vendite è negativo è l’Italia"

      e quindi non c’è proprio niente da dire: quello NON è un rapporto giornalisti/vendite ma invece è un rapporto fra indicatori e inoltre quel rapporto NON è negativo ma positivo (come tutti gli altri) e maggiore di uno (come accade soltanto in Italia).

      Avrebbe fatto una figura meno penosa tacendo o riconscendo di avere scritto una gran fesseria, invece che giustificarsi inventandosi il suo personalissimo "rapporto non matematico".

      Inoltre mi risulta che lei avrebbe scritto un articolo su quell’argomento e quindi, oltre all’ analfabetismo aggravato dal rapporto non matematico, c’è anche l’incapacità critica di chi, commentando quei dati, non rileva che quei dati però considerano giornali con finanziamenti e senza lettori mentre non considerano una eccezione -tutt’altro che trascurabile come tiratura- di un giornale che non prende finanziamenti.

    • Di (---.---.---.59) 15 marzo 2012 23:24

      Gli articoli purtroppo, come lei saprà, non possono essere omnicomprensivi. Il mio pezzo snocciola i dati più interessanti (a mio avviso) della ricerca OCSE, la quale tratta tra le altre cose di contributi statali all’editoria e dei giornali che ne usufruiscono. Il giorno in cui scriverò un pezzo confrontando i diversi modelli economico-organizzativi di testate con o senza sussidi le farò sapere. Può darsi lo legga più serenamente. Buona serata.

      G.C.

  • Di (---.---.---.100) 16 marzo 2012 11:55

    Caro Geri, se non vuoi essere preso in giro non dare motivi per farlo.


    Non si può intendere un rapporto tra due indicatori di natura diversa (n° copie vendute su abitanti vs n° giornalisti assunti su N copie vendute) in senso matematico.

    Quello che l’autore intendeva nell’articolo è talmente OVVIO da scomodare La Palisse: se i giornali in Italia hanno un organico (= spese per stipendi) paragonabile o superiore ai loro omologhi ma vendono molte meno copie in confronto agli stessi, è evidente che le spese per quell’organico non sono giustificate. Il rapporto è negativo in senso assiologico, non matematico.

    Quel grafico ci dice che, a seconda del rapporto su cui ci basiamo, dovremmo aspettarci che i giornali italiani, razionalmente: A) vendano un maggior numero di copie, se partiamo dalle dimensioni dei loro organici; oppure B) diminuiscano i loro organici, se consideriamo le copie vendute.
    Se niente di tutto ciò avviene, come l’autore giustamente sottolinea, è perché il mercato dell’editoria in Italia è drogato da contributi pubblici che non hanno eguali nei paesi OCSE. È inutile che citi il caso del Fatto Quotidiano, noto per essere appunto una virtuosa eccezione al sistema, per smentire la tesi dell’articolo: al contrario, la conferma in pieno.

    La prossima volta prima di accusare spocchiosamente gli altri di ignoranza, assicurati di aver capito ciò che intendevano dire. Un minimo di prudenza ed educazione in più non guasterebbe.

    Salvatore

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