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Il gas dell’Azerbaigian fa dimenticare i diritti umani

Il 17 dicembre, nella capitale Baku, è stato sottoscritto l’accordo internazionale per la realizzazione del Trans-Adriatic Pipeline (Tap), che trasporterà gas dall’Azerbaigian all’Europa, con sbocco a Melendugno, nel Salento. Dopo la visita lampo pre-ferragostana del presidente del Consiglio Enrico Letta, è toccato alla ministra degli Esteri Emma Bonino apporre la firma per l’Italia.

Lo stesso giorno, senza che nessuno battesse ciglio, il parlamento azero ha approvato una serie di emendamenti alla legge sulle Organizzazioni non governative, già inasprita a marzo. Le modifiche riguardano l’incremento delle multe, l’introduzione di nuovi reati amministrativi, l’aumento degli adempimenti necessari per il riconoscimento giuridico e dei controlli e nuovi motivi per la sospensione temporanea o la chiusura definitiva delle Ong locali e internazionali.

La sera prima della firma del Tap Anar Mammadli (nella foto ripresa dal sito dell’European Platform for Democratic Elections), presidente del Centro studi per il monitoraggio elettorale e la democrazia (Emds) è stato convocato nella sede della Procura, arrestato, portato immediatamente al tribunale distrettuale di Nasimi e posto in detenzione preventiva per i successivi tre mesi, in attesa del processo che lo vedrà imputato di “attività economica illegale”, evasione fiscale e “abuso d’autorità con gravi conseguenze o con l’intento di influenzare le elezioni”, sulla base degli articoli 192.2.2, 213.1 e 308.2 del codice penale.

Le autorità giudiziarie dell’Azerbaigian vantano una lunga tradizione di procedimenti per reati fiscali o di droga nei confronti di oppositori politici, giornalisti indipendenti e attivisti per i diritti umani. La vicenda di Annar Mammadli pare seguire la stessa trama.

Secondo un comunicato della Procura generale emesso il 18 dicembre, era stato il ministero delle Tasse e delle finanze a sollecitare l’avvio dell’inchiesta: il vicedirettore dell’Emds, Bashir Suleymanli, aveva frodato il fisco non dichiarando di aver ritirato denaro dal conto bancario di un’Ong partner, Volontari per la cooperazione internazionale (Vic), utilizzato per retribuire un gruppo di ricercatori che avevano monitorato, per conto dei due organismi, le elezioni presidenziali di ottobre. Per l’accusa, si era trattato di una “transazione privata” e dunque tassabile, sebbene la legge preveda l’esenzione dal pagamento delle tasse sui finanziamenti ricevuti dalle Ong. Sull’accusa di “abuso d’autorità” non è stata data alcuna spiegazione.

Il 20 dicembre, però, il ministero delle Tasse ha smentito tutto!

Le ragioni della persecuzione nei confronti di Anar Mammadli vanno dunque ricercate altrove: nell’attività di monitoraggio della sua Ong, in occasione delle elezioni di ottobre, che hanno dato un terzo plebiscitario mandato al presidente Ilham Aliyev. In questo articolo diffamatorio, pubblicato dall’organo ufficiale d’informazione un mese prima delle elezioni, un importante parlamentare accusa Mammadli di essere al sevizio della “lobby armena” e ventila malignamente l’ipotesi che l’uomo sia sotto inchiesta per il trasferimento di finanziamenti sul suo conto bancario personale.

Amnesty International ha deciso di adottare Anar Mammadli come prigioniero di coscienza e nel 2014 avvierà una campagna per ottenere l’annullamento delle accuse e il suo rilascio.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Persio Flacco (---.---.---.159) 13 gennaio 2014 23:40

    Il gas dell’Azerbaigian fa dimenticare i diritti umani a chi è a favore del gasdotto e li fa ricordare a chi è contro.
    Non è né un mistero né una novità che i diritti umani sono spesso stati usati come arma politico mediatica per colpire avversari e competitori.

    Caso emblematico l’Iraq di Saddam Hussein. Le denunce delle organizzazioni di difesa dei diritti umani nei confronti del regime irakeno di Saddam Hussein, tra cui quelle diffuse da Amnesty International, sono state usate dall’amministrazione statunitense guidata da G.W. Bush e dalla cricca neocon per giustificare moralmente la guerra che ha distrutto il paese e la sua integrità sociale.

    L’effetto concreto sui diritti umani della popolazione irakena è stato tale da far apparire Saddam un santo.

    La domanda è: le organizzazioni come Amnesty si fanno strumentalizzare volontariamente o involontariamente?

    Certo, la provenienza di certi finanziamenti induce a qualche dubbio.

  • Di (---.---.---.91) 14 gennaio 2014 09:58

    Gentile lettore, non so a quali "certi finanziamenti" si riferisce e sarebbe auspicabile che lei precisasse cosa le induce dubbi. 


    Ha ragione quando ricorda che i diritti umani sono usati quando è conveniente dal punto di vista politico. Il compito delle organizzazioni per i diritti umani non è quello di tacere di fronte al rischio ma di denunciare con forza questa strumentalizzazione. 

    Nel 2003, forse non lo ricorda, Amnesty International apriva le manifestazioni contro l’intervento militare in Iraq con lo striscione "Non in nome dei diritti umani" (ossia, non ci provare a usare il tema dei diritti umani). 

    Abbiamo ricordato al mondo, a Usa e Regno Unito in particolare, come le denunce di Amnesty International di crimini di guerra e contro l’umanità commessi dal regime di Saddam Hussein negli anni Ottanta fossero state da loro completamente e colpevolmente messe da parte. 

    Cordiali saluti

    RN
    • Di Persio Flacco (---.---.---.130) 14 gennaio 2014 12:59

      Lei scrive << Nel 2003, forse non lo ricorda, Amnesty International apriva le manifestazioni contro l’intervento militare in Iraq con lo striscione "Non in nome dei diritti umani" (ossia, non ci provare a usare il tema dei diritti umani). >>

      Si, certo, ma come lei sa bene l’attenzione dei governi e dei media è selettiva: alle denunce contro i loro obiettivi viene dato grande risalto; alle diffide delle organizzazioni che le hanno prodotte circa l’uso delle loro denunce viene data poca o nessuna importanza.

      Quello che risulta è che governi e mass media giustificano i loro attacchi con le denunce delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani mentre queste ultime si difendono dall’accusa di svolgere un ruolo di supporto agli attacchi affermando di aver denunciato violazioni reali e di aver manifestato contrarietà alla guerra. Ognuno è giustificato, dunque la guerra non ha colpevoli. Il delitto perfetto insomma.

      Ed è inevitabile che le cose vadano in questo modo: chi denuncia dei crimini, perché è questa la sua missione, non può decidere quali modalità di repressione verranno adottate da chi ha il potere di attuarle. Questo lo sa già in partenza, dunque sa già in partenza che le sue denunce verranno strumentalizzate da chi, fin dall’inizio, intendeva adottare certe modalità repressive funzionali ai suoi scopi.

      Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani non possono dunque ignorare quale uso può essere fatto delle loro denunce, tanto meno quando sanno già che esistono che esse cadono in un contesto di forti ed evidenti tendenze a colpire chi viene denunciato per motivi che nulla hanno a che vedere con i diritti umani.

      Non curarsi dell’effetto che avranno le loro denunce in un certo contesto è una spia sicura della cattiva coscienza di certe organizzazioni umanitarie.

      Ma, tornando al caso Iraq, c’è un altro aspetto ancora più eclatante in queste dinamiche, cioé la rimozione della più grave delle violazioni dei diritti umani: la guerra stessa.

      Oltre alle centinaia di migliaia di civili uccisi direttamente e indirettamente dalle operazioni belliche, ai milioni di progughi, alle atrocità individuali, alle torture, alla distruzione di beni pubblici e privati, la lacerazione del tessuto sociale, le divisioni, le rivalità rinfocolate o suscitate ad arte, offuscano il futuro di generazioni di irakeni. 

      Non è questo il maggiore dei crimini commessi? E dove sono le denunce di Amnesty?

  • Di (---.---.---.91) 14 gennaio 2014 14:19
    Gentile lettore, le consiglio la lettura del rapporto allegato a questo link: 


    Sul resto del suo commento, non ho da aggiungere altro. Se lei ritiene che Amnesty International sia tra le Ong in cattiva fede o che magari programmino i tempi delle loro denunce perché siano maggiormente funzionali all’agenda politica del momento, posso solo dirle che si sbaglia completamente. Sull’Iraq, sulla Libia, sulla Siria o su altro ancora.

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