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Il dilemma dell’uomo contemporaneo per Thomas Pynchon

Letture/ Vizio di forma / di Thomas Pynchon / Einaudi 2011/ Pagine 472, € 20.00

 

Se nella vita quotidiana va storto qualcosa è ovvio che ognuno si interroghi sui motivi per cui ciò è accaduto: colpa nostra, colpa degli altri, coppa del destino, colpa degli alieni, etc. Ma è un inutile sforzo per l’uomo comune cercare i motivi per spiegare ogni cosa, oppure una sua primaria e poco salutare necessità? Dove ci condurranno le domande? O meglio: saremo davvero pronti a ricevere le risposte che cerchiamo? Oppure ancora chissà, forse intuendo che non saremmo preparati, non sarebbe meglio galleggiare in una beata ignoranza? E se la scommessa della letteratura mirasse proprio a questa finalità?

Ma dal punto di vista del subcosciente o meglio ancora di quella parte dell’Io che sa già tutto ma non vuole accettarlo, la letteratura – ancor meglio la narrativa – ci dà, eccome, delle risposte. Sta a noi accettare di accettarle, senza stare su a pensarci troppo.
 
Le risposte però non sempre sono facili da comprendere per l’uomo contemporaneo, troppo preso da tutto e troppo impaziente per fermarsi a riflettere, in una società dove tutto è ormai faster, dal cibo, al lavoro, al divertimento: non si riesce più a godere davvero nulla. Ed è così anche per la letteratura.
 
Bisogna leggere un romanzo, comunque sia, bisogna leggerlo con attenzione – e non tutti ci riescono – ma bisogna leggerlo subito. È necessario ragionare anche su ciò che non risponde a alcun ragionamento logico; insomma una gran fatica.
 
Un buon autore deve innanzitutto saper condividere il suo discorso col lettore; ma non tutti ci riescono. I lettori però hanno lo stesso dovere di capire un autore; capire chi è e cosa vuole – se vuole qualcosa – e cosa davvero vuole trasmettere. In questo senso, nel panorama letterario contemporaneo un esempio vale l’altro.
 
E difatti proprio per la follia comune, in cui a volte sembra precipitata, l’umanità, possiamo permetterci di focalizzare la nostra attenzione, come leitmotiv, sulla letteratura americana e in particolare prendere a esempio un autore poco conosciuto, perché non solo la sua produzione in volume si assesta su pochi romanzi, ma anche perché è un vero uccel di bosco; un uomo che è il vero paradigma della società moderna, si può dire; un uomo che scompare come tutti noi tra la folla e non si distingue dagli altri. Di lui non si hanno foto, se non qualcuna rarissima della sua giovinezza; non partecipa a nessun talk show, non concede interviste in video. È il più psichedelico degli autori americani della vecchia guardia, e cioè Elmore Leonard, Cormac McCarthy e Edgar L. Doctorow: stiamo parlando di Thomas Pynchon.
 
Pynchon appartiene, anche anagraficamente, se vogliamo (ha più di settant’anni), a quella generazione di autori della prima metà del Novecento americano che ancora oggi sono sulla cresta dell’onda, spaventosamente attuali. È non è inopportuno legarli a filo doppio tra loro perché hanno tante cose in comune, cose che hanno ereditato dal padre della letteratura americana, Mark Twain.
 
Twain, figura che da poco è stata nuovamente celebrata con una valanga di riproposte editoriali, dato che nel 2010 è ricorso il centesimo anniversario dalla sua inaspettata dipartita da questa valle di lacrime, inaspettata nel senso che lui stesso non aveva preventivato di morire; anche perché come lui stesso dice nella sua autobiografia – pubblicata postuma –, in realtà parlava al lettore dall’altro mondo, cosa che non era riuscita neanche al mago Harry Houdini, che prima di morire aveva detto alla moglie che avrebbe tentato di mettersi in contatto con lei dall’aldilà. Ma evidentemente o la linea era occupata, perché c’era già il signor Clemens che dettava la sua autobiografia, o forse tutto finisce appena si compie.
 
Ed è questo l’insegnamento che Mark Twain e gli altri autori citati comunicano ogni volta che leggiamo le loro opere. Twain fu in realtà uno storico prestato alla letteratura. Nelle sue opere come la già citata Autobiografia (2011) o In cerca di guai (2010), ma anche Vita sul Mississippi (2010), che sono puramente autobiografici, l’autore racconta le sue esperienze di vita reale nel contesto americano dell’epoca; ma anche in alcune delle meno note e più classiche come Un delitto, un mistero e un matrimonio (2002)o Il racconto del becchino e altre storie (2010), che seppur di fantasia svelano sempre la sua attenzione alla Storia. I suoi insegnamenti sono stati ripresi dagli autori già citati, quasi a voler creare una scuola. McCarthy con uno stile duro a metà tra il ventre moderno della vita americana e la ruvidezza della frontiera; Leonard con lo stile di scanzonato cantore della vita metropolitana più grezza; Doctorow che talvolta si abbandona un po’ troppo alla fantasia; e ovviamente Pynchon che è il più loco di tutti.
 
Mentre infatti gli altri autori citati (Twain compreso) usano ambientare le loro avventure in una realtà seppur romanzata, Pynchon va oltre. Non solo fa questo da buon storico dell’America come i suoi colleghi, ma non si preoccupa minimamente dell’organicità del racconto, o del fatto che il lettore si perda nei meandri di decine e decine di sottotrame e citazioni con cui egli infarcisce i suoi romanzi. Ma questo è una virtù o un difetto?
 
Dunque, per il lettore più esigente, abituato all’alta letteratura europea, è chiaramente un difetto; ma per il lettore abituato agli autori appena citati invece no… o quasi. Eh sì, perché se è vero che Pynchon si inserisce nella scia di quegli autori/storici che esprimono perizia nella conoscenza della storia americana, è anche vero che il senso della sua opera – a differenza degli altri – non si comprende. Mentre al termine delle avventure narrate da Twain, Leonard & co. il lettore, seppur dopo aver fatto un po’ di fatica – e questo avviene ad esempio nelle opere di Doctorow che si spinge talvolta nei meandri del fantastico come nel personaggio del dottor Sartorius, scienziato folle protagonista dell’Acquedotto di New York (2007) –, riesce a comprendere il filo del discorso, in Pynchon questo non accade. E attenzione, non significa che non può accadere; ma non accade e basta. Per il semplice fatto che Pynchon seppur accomunato a Leonard dallo stile a tratti volgare (come dimenticare il soprannome del personaggio Nathan “Culodilardo” Levine, uno dei protagonisti di Un lento apprendistato  [2007] – neanche il Leonard più scatenato aveva mai toccato tali vette di volgarità, ed è che dire), o dalle valide citazioni storiche, la differenza è che in questo assurdo autore la trama prende il sopravvento sia su di lui che sulla narrazione stessa. Pynchon si bea nel citare fatti realmente avvenuti che gli servono per le sue sottotrame, deviando però troppo il lettore, sviandolo, confondendolo, e forse confondendo pure se stesso, come accade ad esempio nel suo ultimo poderoso lavoro Vizio di forma (2011). Troppo poderoso per non resistere alla tentazione da parte dell’autore di infarcirlo con ogni possibile tipologia di sottotrame. L’ambientazione è negli anni Sessanta, quelli degli hippies, che curiosamente con l’uomo moderno avevano in comune l’ambizione di vivere alla giornata, di ottenere una soddisfazione immediata – seppur fatua – piuttosto che una stabile certezza futura. Anche la loro era, come quella di oggi, una fast generation; più veloce e facile è, meglio è.
  
Al termine della lettura – e solo dopo averlo letto con molta fatica – qualcosa si chiarisce, ma appunto solo qualcosa. La differenza con Twain ad esempio è che mentre quando il battelliere del Mississippi scriveva di storia, era storia e basta senza invenzioni, Pynchon invece come i suoi “colleghi di scuola”, diciamo così, fonde il tutto, ma a differenza di Leonard e gli altri, fonde troppo e sembra quasi dimenticarsi la trama principale, dedicandosi troppo alle sottotrame. Insomma quasi dieci romanzi in uno; davvero difficile per un lettore normale stargli dietro. Per un lettore normale appunto.
 
Ma come si diceva all’inizio, quanti nel mondo di oggi possono definirsi davvero normali?
 
Oggi la normalità non sembra essere più di casa su questo pianeta, Twain e i suoi “seguaci” ce lo hanno ben dimostrato nella loro opera, ma i loro erano comunque accostamenti ancorati alla realtà. Volevano comunque creare un filo logico e diretto sia con il lettore che con la realtà; volevano se non insegnare qualcosa, almeno aiutare l’uomo comune a vivere in maniera migliore. Twain e McCarthy ci riescono meglio, Leonard in maniera un po’ più strafottente, Doctorow forse in maniera più subliminale. Pynchon invece si distacca da questa tradizione perché, se mentre gli altri hanno capito l’uomo comune e hanno cercato di reinterpretarlo sotto vari aspetti, Pynchon li ha trascesi e ha capito – forse meglio di tutti – l’uomo contemporaneo.
 
Pynchon sa che è inutile approntare un discorso serio con il lettore, perché o il lettore non cerca la serietà quando legge un libro o è talmente disattento da non riuscire a afferrarne la trama. Quindi vale la pena fare le cose per bene? Dare un senso compiuto a ciò che si scrive?
 
In un romanzo normale il lettore deve per forza di cose avere la mente libera per poter sforzarsi di comprenderne la trama – e anche un po’ la psiche dell’autore –, ma se, come si diceva, in questo mondo frenetico, che pure gli altri autori americani raccontano, l’uomo non avesse davvero più il tempo di riflettere? E allora a cosa serve donargli un racconto elegante e di senso compiuto? Non è meglio tramortirlo con assurdità, non-sensi e storie di ordinaria follia?
 
I libri di Pynchon vogliono venire incontro al lettore moderno, vogliono avvantaggiarlo, vogliono renderne faster la lettura, vogliono fargli consumare più rapidamente il prodotto-libro, proprio come un hamburger. Il lettore che non ha né tempo né voglia e che vuole tutto subito. E allora anche il libro deve trasformarsi da prodotto eccellente al prodotto da consumare in breve tempo, il tempo di una fila alle poste, il tempo di un lavaggio completo della lavatrice, il tempo appunto di un rapido pranzo a base di junk-food.
Infatti se anche un lettore si apprestasse con malavoglia ai libri di Pynchon non resterebbe deluso, perché – come accade a tutti – molto spesso un libro si legge a pezzi, e cioè di volta in volta ci si ferma e poi si riprende; il problema però e che bisogna ricordarsi quello che si è letto. Ma quanti ci riescono davvero?
 
Oggi è davvero difficile concentrasi su un libro perché non si ha il tempo di concentrarsi su nulla, quando si fa qualcosa si sta già pensando alla prossima. Inutile stancare il lettore se poi tanto non presta attenzione e si dimentica quello che ha letto. Se infatti si riprende un libro di Pynchon dal punto in cui lo si era lasciato non ci si sente spaesati, non si ha la sensazione di aver dimenticato qualcosa, proprio per il fatto che, come detto, si dipanano tante di quelle sottotrame – ognuna distinta dall’altra – che sembra quasi che ogni volta che si apre una pagina è come se il libro iniziasse periodicamente daccapo. Più veloce di così non si può.
 
Pynchon potrebbe addirittura essere considerato l’antesignano della scrittura SMS usata appunto per velocizzare quanto più un dialogo. Ha capito che sono pochi coloro che hanno pazienza, ha capito che non c’è più memoria collettiva. Anche gli altri suoi “compagni di stile”, ognuno a modo suo, hanno comunque compreso la vacuità delle parole, ma non scrivono come se fossero loro i lettori. Pynchon scrive come si legge.
 
Tempus fugit: i libri di Pynchon possono ben interpretare questo detto, potrebbero essere letti anche dalla fine verso l’inizio; sarebbero comprensibilissimi… ovviamente per un visione distorta della vita, ma che è oggi perfettamente allineata all’assurda realtà in cui viviamo.
 
Letture
 
Twain M., A Murder, a Mystery and a Marriage, 2001, trad. it., Un delitto, un mistero e un matrimonio, RCS Libri , Milano, 2002
Pynchon T., Slow Learner. Early Stories, 1984, trad. it., Un lento apprendistato, Einaudi, Torino, 2007
Doctorow E. L., The Waterworks, 1994, trad. it., L’acquedotto di New York, Mondadori, Milano, 2007
Twain M., Roughing it, 1872, trad. it., In cerca di guai, Adelphi Edizioni, Milano, 2010
Twain M., Life on the Mississippi, 1883, trad. it., Vita sul Mississippi, Mattioli 1885, Fidenza, 2010
Twain M., Who is Mark Twain?, 2009, trad. it., Il racconto del becchino e altre storie, Editori Riuniti, Roma, 2010
Pynchon T., Inherent Vice, 2009, trad. it., Vizio di forma, Einaudi, Torino, 2011 
Twain M., The Autobiography of Mark Twain, 1924, trad. it., Autobiografia, Garzanti, Milano, 2011
 
di Giovanni De Notaris

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