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Il Marketing della guerra

Quando il 10 Giugno del 1940 Mussolini si affacciò dal balcone di Piazza Venezia e, di fronte a una folla di migliaia d’italiani comunicò la dichiarazione di guerra, l’effetto sulla popolazione non fu quello di sgomento e paura, bensì di giubilo. Come si possa giungere a questo tipo di reazione da parte di una popolazione, lo stiamo vivendo in questo periodo storico.

Per far sì che le popolazioni aderiscano a un progetto di guerra mondiale, occorre un elemento: il marketing. In questo caso, applicato alla guerra. Mondiale. Effettivamente, se si studiano le regole del marketing, si impara che, il primo metodo per creare una buona campagna di marketing è quello di creare una necessità, per poi proporre la soluzione. Ora, finché si parla di inoculare nelle persone il desiderio spasmodico di ottenere l’acquisto di prodotti e servizi, per quanto le metodiche possano apparire aberranti, siamo nell’area dell’accettabilità. Ma quando queste tecniche vengono utilizzate per far bramare un conflitto, ci troviamo nel girone dell’inferno.

Gli ingredienti sono sempre gli stessi. Si genera, per un lungo periodo, un sentimento di disprezzo verso un elemento considerato estraneo, nemico, da combattere, da espellere. Si alimenta questo sentimento con la percezione concreta dell’imminente realizzarsi di gravi azioni contro la pace nazionale e l’incolumità delle persone, e si propone la soluzione ad hoc: l’adesione alla guerra, unica soluzione proponibile di fronte agli attacchi operati dal nemico del momento.

A ben guardare, sia nella prima sia nella seconda guerra mondiale, non vi era un reale nemico da combattere. Fondamentalmente, le due guerre si svilupparono con un solo scopo: il potere assoluto sulle popolazioni del pianeta, il sogno di ogni leader politico a ogni latitudine del pianeta con una notevole attitudine a realizzare questo sogno, da parte della Germania, che fu artefice del primo e del secondo conflitto mondiale, a soli scopi espansionistici.

Il numero delle vittime di entrambi i conflitti fu pesantissimo, e questo deve far riflettere su un criterio assoluto: le perdite umane fanno parte del pacchetto potere di ogni governo, una conseguenza messa fra gli eventi da prendere in considerazione per giungere all’obiettivo fondamentale: garantirsi maggior potere.

Come accadde nei due precedenti conflitti mondiali, attualmente si opera con le stesse metodiche di inoculazione nella popolazione, di un sentimento di massima insicurezza, provocato da un “nemico” designato – anche oggi l’elemento da combattere è l’estraneo, il diverso, l’extracomunitario – che, in un crescendo di eventi sempre più brutali e di negazione dei diritti delle popolazioni riceventi lo straniero, sfocia in una accettazione collettiva attraverso la quale si dà il consenso ai governi, a prendere decisioni estreme – come il conflitto armato – pur di eradicare il nemico che attenta quotidianamente alla sicurezza e alla vita delle popolazioni. L’occidente in questo è maestro.

Riflettiamo attentamente su cosa accadde dopo l’11 Settembre. Gli USA da quel momento, ebbero il massimo sostegno sia da parte della popolazione che dei governi occidentali, ad aprire le danze di quello che sarebbe stato un conflitto in pianta stabile contro il Medio Oriente per motivazioni – quelle palesate – cui nessuno mai si sarebbe azzardato ad opporsi. L’infame gesto kamikaze che portò alla morte di oltre 3.000 persone innocenti, non poteva che essere in parte cancellato dalla stessa moneta: la messa in atto di azioni militari mirate a sottomettere e sconfiggere il nemico. Chi, di fronte alla morte di migliaia di persone non avrebbe fortemente sostenuto qualsiasi tipo di decisione degli Stati Uniti così pesantemente colpiti dal nemico islamico? Nessuno.

La riflessione però, deve avere una visione a 360° per poter essere approfondita e corretta. Oltre 3.000 morti, possono essere intesi come quell’elemento utile a uno Stato per giungere a compiere azioni militari seguendo un preciso disegno di dominio sul Medio Oriente? Ognuno risponda secondo la propria capacità di analisi e di conoscenza dei fatti, ma il dubbio che si possa giungere persino alla plateale azione di omicidio massivo pur di creare la scusante a un conflitto che avrebbe coinvolto buona parte del mondo occidentale e creato le basi per un nuovo ordine mondiale non deve far pensare a complottismo quanto a ipotesi valutabile.

L’attacco terroristico accaduto ieri sera a Parigi, giunge in un periodo in cui l’elemento dominante nelle popolazioni occidentali è quello del razzismo verso il mondo e la cultura islamica. Un razzismo spesso inoculato utilizzando ogni strategia possibile per far si che il maggior numero di persone si senta assediata dal nemico straniero.

Nel nostro paese, basta vedere ciò che un Salvini è riuscito a scatenare nell’animo di certi italiani, che è riuscito persino a convincere che qualsiasi extracomunitario – non importa se profugo o meno – tolga il pane di bocca a tutti, compia solo crimini di ogni sorta e vada assolutamente estirpato con ogni mezzo.

Salvini sa perfettamente come funziona il marketing del terrore e usa ogni strumento per aizzare la popolazione, rendere insicure le persone e portarle dritte verso l’obiettivo finale: ottenere il sangue del nemico, anche a costo di far scoppiare la guerra. Quella tradizionale.

Oltretutto, la capacità di fomentare le masse, ha un criterio che trovo affascinante nella sua assoluta aberrazione: i politici riescono a spostare l’attenzione delle popolazioni dal vero obiettivo a un altro. In tempi in cui la gente dovrebbe scagliarsi contro la componente politica per i troppi scandali legati a un andamento delirante dell’utilizzo del potere, cosa si fa? Si sposta la mira verso un obiettivo diverso. La cosa affascinante è la riuscita di questo metodo: la maggior parte della gente, senza rendersene conto, sposta la mira verso l’obiettivo designato dalla politica. Stupefacente.

Oggi, ci svegliamo in una situazione geopolitica che ha nuovamente cambiato assetto. Parlare di chiusura delle frontiere – ieri sera lo ha dichiarato Hollande – è cosa accettabile per tutti. Parlare di necessità di militarizzazione delle città, diviene auspicabile - ne ha parlato anche Pier Ferdinando Casini stamane in TV – e quindi proponibile alle popolazioni. Parlare di Terza Guerra mondiale tradizionale, entra a far parte dei discorsi quotidiani, e quindi si ottiene l’abitudine a un tema tanto terribile quanto assimilato come possibile e persino accettabile.

Dopo la strage di Parigi, nessuno di noi dormirà più sonni tranquilli. Nessuno di noi in occidente, salirà a cuor leggero su una carrozza della Metropolitana – solitamente uno degli obiettivi sensibili per gli attacchi terroristici – o porterà i figli allo stadio senza dubitare che qualcosa di molto grave possa avvenire.

Il marketing della guerra sta dando i suoi frutti. Le popolazioni terrorizzate, accetteranno che ogni decisione presa dai governi, anche la più limitante della libertà individuale, venga presa in nome di una “sicurezza” che a mio avviso ha a che fare più con la decisione collettiva dei governi occidentali ad aderire al progetto di egemonia mondiale lanciato dagli egemoni USA, piuttosto che di una guerra fondamentalista islamica – genericamente parlando – che si abbatte random sulle popolazioni occidentali ree di non aderire all’ortodossia imposta da un Maometto che nulla ci azzecca con le strategie politiche e con le mire espansionistiche deliranti di un occidente schiavo del mito americano, al punto da abbracciarne modi, mode, metodi, azioni.

Il compimento di un ennesimo misfatto mondiale è già concreto. Mi auguro che stavolta, anche memori di ciò che è accaduto in passato, si compiano meno errori e si decida di non immolare milioni di persone incolpevoli sull’altare del potere.

Dubbi che non accada ne ho molti. La motivazione è proprio la constatazione – anche stavolta – della massima adesione popolare occidentale a sostenere qualsiasi azione pur di garantirsi quella serenità che, non se ne rendono conto, è negata proprio dai governi di cui sono cittadini e che ora si mostrano pronti a sedare l’orrore che hanno generato. Peggio del peggior film dell’orrore. Il nemico è in casa. La strategia di marketing ha funzionato anche stavolta. Obiettivo: raggiunto.

Foto: Domenico/ Flickr

 
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