"Il Festival a Casa del Boss" (nei suoi beni confiscati)
In vendita il libro del giornalista Pietro Nardiello che racconta l'esperienza del Festival voluta dal Comitato don Peppe Diana: le difficoltà, gli ostacoli "politici" e la decisione di cedere i diritti d'autore all'Associazione "Resistenza Anticamorra" di Ciro Corona
Un titolo insolito. Un ossimoro, per chi come lui o come noi alla parola boss non lega e non potrebbe mai legare l’idea di una festa. Ma in questo caso c’è da festeggiare: perché si parla dell’unica rassegna italiana interamente realizzata nei beni confiscati alla criminalità organizzata.
Ideatore del progetto il giornalista Pietro Nardiello che questa esperienza l’ha voluta raccontare in un libro, “Il Festival a Casa del Boss” (edito da phoebusedizioni). Il motivo? Accendere un riflettore sui motivi che hanno determinato la nascita di questa iniziativa, voluta dal Comitato don Peppe Diana e che si ispira alle idee del sacerdote assassinato nella sagrestia della sua Chiesa a Casal di Principe. Nel libro si parla dei retroscena, delle difficoltà, delle speranze e delle gioie nate in luoghi dove si costruisce un’Italia diversa. I piccoli passi quotidiani compiuti per realizzare una rassegna dove non vi sono teatri o luoghi di aggregazione, dove anche il disordine urbanistico rappresenta un simbolo di onnipotenza del crimine organizzato. Ma il libro diventa, soprattutto, l’opportunità per offrire uno sguardo sui territori e sull’attualità e su quei temi come la cultura, la politica, la scuola, l’economia, la religione, la musica, lo sport sui quali è necessario dibattere e confrontarsi per costruire un futuro diverso e una società partecipata dove l’arma per sconfiggere l’illegalità è rappresentata sicuramente dall’avvio di una rivoluzione culturale.
Al racconto si intervallano alcune interviste di giornalisti, che hanno calpestato i luoghi del Festival, realizzate con magistrati, giudici, artisti, sacerdoti e sociologi che hanno partecipato in questi anni alla rassegna.
“L'idea - spiega l’autore - punta a mettere insieme le cose belle di questi territori: i giovani, che rappresentano l'anima di tutto ciò, con i circuiti artistici nazionali”.
Come è nata l’idea del Festival?
Ho pensato ad un Festival nei beni confiscati perché in quelle zone, quelle dell'agro aversano, paesi come Casal di Principe, Casapesenna e San Cipriano non hanno luoghi dove si possono realizzare spettacoli, incontri. Ma non ci sono nemmeno delle architetture che potrebbero fungere da quinte scenografiche. Per questi motivi pratici, dunque, e poi perché le parole di don Peppe non potevano che essere amplificate proprio nei luoghi in cui si era programmata la sua morte, e quella di tanti altri, ma anche delle coscienze di intere generazioni.
Quando è nato il progetto?
Il progetto l’ho scritto nel 2007, ma la prima edizione si è svolta nel giugno del 2008: durò tre giorni e fu seguito da poche persone. Ma in quel caso è stata grande la soddisfazione, soprattutto per come l’abbiamo vista crescere, travalicando i confini della provincia di Caserta, raggiungendo Napoli e la provincia di Avellino. Purtroppo non ci hanno consentito di arrivare a Salerno e Benevento. Abbiamo sviluppato tanti progetti, si sono avvicinati alla rassegna tanti giovani, con alcuni abbiamo anche realizzato anche una band musicale guidata da Carlo Faiello. Anche la Rai ci ha sostenuto in vari modi….
Ci sono state delle difficoltà?
Al di là di oggettivi impedimenti, le maggiori difficoltà ce le ha imposte la politica o, se preferite, la mala politica locale. In alcuni casi basta leggere le ordinanze di custodia cautelare, per capire ci spiegano che alcuni sindaci rispondevano alle direttive dei boss… Ma spesso il bastone tra le ruote ce lo ha messo proprio chi dice di impegnarsi nel sociale, nell'azione antimafia e poi invece pensa a coltivare i propri interessi personali o familiari.
A che edizione siete arrivati?
Il festival ha raggiunto la quinta edizione: io l'ho diretto per quattro, poi ho lasciato….
Perché comprare il libro?
Nel libro spiego i motivi che mi hanno spinto a lasciare questa esperienza… ma soprattutto perché, comprandolo, si sostiene un progetto che nascerà a Scampia. I soldi saranno devoluti in beneficenza all’associazione “Resistenza Anticamorra”, coordinata da Ciro Corona, per la realizzazione di un ristorante pizzeria sociale dove lavoreranno giovani del territorio, ragazzi minorenni in attesa di giudizio e condannati a scontare pene alternative al carcere! Credo che l'impegno civile sia qualcosa che debba svolgersi con professionalità e non farne una professione… Non mi interessa parlare di Zagaria e Sandokan, questi delinquenti sono solamente un alibi, per chi non vuole toccare la politica.
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