Il Belgio autorizza l’eutanasia per i minori. Una scelta laica
In Belgio la commissione affari e giustizia del Senato ha adottato la proposta di legge che estende l’eutanasia anche ai minorenni. A favore hanno votato socialisti, liberali, ecologisti e separatisti fiamminghi, contrari cristiano-democratici e l’estrema destra di Vlaams Belang. L’opinione pubblica belga è in maggioranza a favore, come emerge dai sondaggi. Si attende nelle prossime settimane il voto definitivo che è probabile porti all’approvazione. Il dibattito è in corso da mesi. E ora si si riaccende anche in Italia.
La norma prevede che il minore, malato in fase terminale e le cui sofferenze siano insopportabili e ormai non trattabili con palliativi, possa chiedere il suicidio assistito. Il tutto dopo che l’équipe medica abbia dato il suo assenso e in accordo con i genitori. Si stima che casi del genere siano circa 10-15 all’anno in Belgio, dove l’eutanasia è autorizzata dal 2002, mentre in Olanda una disposizione del genere esiste dal 1998.
Certo è difficile trattare un argomento delicatissimo come questo. Però si può e si deve fare. Magari guardando prima di tutto alle persone e a chi vive questi drammi. Chi crede che una sofferenza atroce abbia un senso ultraterreno può essere contrario e ha tutto il diritto di esserlo, come ha il diritto di non scegliere l’eutanasia, proprio nel rispetto del principio di autonomia. E chi prende in considerazione questa possibilità ha gli stessi diritti, e non può essere ridotto a persona cinica o senza scrupoli, senza sentimenti di umanità. Conosciamo tante storie di famiglie colpite da tragedie profondissime, dalle quali non c’è purtroppo una via d’uscita.
Purtroppo la realtà è che casi del genere aumentano proprio perché il progresso della medicina permette di tenere in vita persone che altrimenti in passato sarebbero morte in tempi brevi. Episodi che aumenterebbero ancora di più se, aggiungiamo, l’opposizione all’aborto terapeutico venisse presa sul serio e si concretizzasse in divieti ai diritti riproduttivi delle donne.
Se è lacerante la sofferenza senza scampo, figuriamoci quanto può esserlo vedere il proprio figlio inchiodato a una macchina per sopravvivere qualche giorno o settimana in più, senza concrete speranze di ristabilirsi. Molti preferiscono ignorare questi problemi, o si limitano a immergerli nel pietismo, o vagheggiano la possibilità di un miracolo che non arriverà, o peggio ancora sono prodighi nel marchiare sulla pelle altrui, con la consueta delicatezza, etichette di assassino, o a fare paragoni impropri col nazismo. Molti preferiscono pontificare invocando i sacri valori e la difesa della vita, magari in rappresentanza di una casta di privilegiati che vengono chiamati “padri” ma che non hanno figli.
Non si tratta quindi di autorizzare la soppressione di ragazzi solo perché hanno qualche malattia che crea imbarazzo, o perché i genitori vogliono scrollarseli di dosso in maniera sbrigativa. Ridurre la questione in questi termini è una mancanza di rispetto e denota scarsa sensibilità verso coloro che devono affrontare e vivere il dramma giorno dopo giorno, ora dopo ora. Quella belga è una scelta laica, che si prende l’onere di dare autonomia agli interessati per permettere loro di scegliere cosa fare in momenti difficilissimi. Scelta sulla quale si può essere d’accordo o meno, ma su cui è necessario un confronto aperto e rispettoso, che eviti toni esagitati come quelli che purtroppo emergono da molti commenti in Italia. Anzi, quello che chiediamo è che se ne parli anche da noi, che ci sia un confronto serio su un problema vero, che è impossibile negare.
In Italia assistiamo invece alle consuete e prevedibili reazioni bipartisan orripilate. Ben pochi osano farsi queste domande, o forse per questioni di opportunità è meglio tacere o fare gli struzzi, perché è facile essere etichettati come assassini di bambini. Del resto non c’è una legislazione neanche sull’eutanasia per adulti, non c’è nemmeno sul testamento biologico, non è calanderizzata alcuna discussione, a parte le promesse della presidentessa della Camera Laura Boldrini. Mentre in Europa si affronta la questione, l’Italia rimane anche su questo fanalino di coda tra i paesi cosiddetti civili.
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