• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Società > I volti della Memoria. I bambini deportati ad Auschwitz

I volti della Memoria. I bambini deportati ad Auschwitz

Dietro di me sentii il solito uomo domandare:Dov’è dunque Dio?E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca... » (Elie Wiesel)

On line 364 fotografie degli ebrei italiani deportati. E’ una testimonianza preziosa a dieci anni dall’istituzione del giorno della Memoria. Le foto sono state raccolte dal Comitato Ricerche Deportati Ebrei (CRDE) a partire dal 1944 fino alla metà degli anni ’50.

Samuele, Fiorella, Giuditta, Roberto sono solo alcuni dei nomi, dei volti, dei 288 bambini prelevati dal ghetto di Roma, caricati sui treni e condotti nei campi di sterminio tedeschi, nell’autunno del 1943. Il sito che pubblica le loro foto si chiama, “I volti della Memoria. Le fotografie degli ebrei deportati dall’Italia".
 
E’ un sito estremamente rigoroso e semplice. Solo che quando si passa dall’elenco dei nomi alle fotografie, le cose cambiano e l’essenzialità diventa un pugno allo stomaco. Guardare su quei cartoncini azzurri, ingialliti da 66 anni di permanenza in un dossier d’archivio, le foto di uomini, donne, famiglie, leggere il loro nome scritto ad inchiostro, ti colpisce.

Sono i Cold Case di una storia lontana eppur vicina.

Provo una simpatia naturale per gli ebrei come per tutti coloro che sono perseguitati, umiliati, privati della libertà e dei loro diritti. La mia famiglia è sempre stata di tradizione socialista e fin da piccola sono cresciuta all’ombra di questi principi. Sono principi che vanno al di là di qualsiasi ideologia, attengono alla sfera dell’Umano con la U maiuscola. Principi che hanno attraversato anche il fascismo italiano che pur nella sua brutalità ha contemplato qualche punto di luce.

Ricordo un episodio della mia infanzia. D’estate i miei nonni in Romagna ospitavano una signora ebrea con i suoi due figli. Li vivevo come parenti. I due ragazzi erano grandi, ma si divertivano a giocare con me. Quando crebbi conobbi tutta la storia.

Era una famiglia ebrea di Arezzo, i miei nonni l’avevano ospitata negli anni più bui e l’avevano tenuta nascosta per evitare la deportazione. Essendo un paese, le voci cominciarono a circolare. A fermarle fu una cugina di secondo grado di mia madre, una sfegatata attivista del fascio. La parentela, la conoscenza di questa famiglia che lei stimava, non solo le impedirono di fare la spia, ma la portarono a nascondere quell’ospitalità diversamente impossibile. Se si sono salvati, non tutti, lo devono a lei che allontanò per un lungo periodo dalle ronde delle camice nere la casa dei miei nonni.

Purtroppo, un giorno, il padre dei ragazzi, non so per quale motivo dovette uscire per recarsi a Bologna. Incappò in un rastrellamento tedesco a pochi chilometri dal paese. Fu ucciso, subito, nella rappresaglia, dai plotoni nazisti. Quel luogo fu chiamato “Carnaio” ed a ricordare quel massacro, un piccolo monumento.

Le foto che si trovano punzonate nelle schede sono quelle che gli scampati al genocidio consegnarono al Comitato ricerche dei deportati. Purtroppo dei 1023 ebrei messi sul treno, ne sono tornati solo 17, tra questi un solo bambino su 288. Fu infatti altissimo il numero delle vittime italiane più giovani.

Il premio Nobel Elie Wiesel in un’intervista condotta da Giulio Busi ha detto: "Tutto quello che vediamo è la conseguenza di un sentimento di odio espanso per tutto il mondo e di cui sentiamo oggi gli effetti. Molto spesso si crede che ad essere stati colpiti siano stati soltanto gli ebrei; non è vero: quello che è successo agli ebrei ha avuto e ha ancora delle conseguenze sul mondo intero perché, se è stato possibile il Ruanda e quello che è successo in Bosnia, se è possibile quello che sta succedendo oggi in Darfur è perché il mondo non ha imparato la lezione

Ho detto spesso che non tutte le vittime erano ebree, ma che tutti gli ebrei sono stati delle vittime, siamo però stati tutti coinvolti, siamo stati tutti colpiti. Se noi lavoriamo oggi per raccontare la storia e raccontarla costantemente, è perché vogliamo salvare altri popoli, altri essere umani da questa esperienza. 

Non posso liberare tutti i prigionieri, però se posso liberarne almeno uno, avrò già fatto qualcosa di valido. Non posso salvare tutti i popoli, ma, se posso aiutare a migliorare in qualche modo la situazione di alcuni, allora avrò già fatto molto, avrò già fatto un grande passo avanti”.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares