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“I tribunali militari di Guantánamo non funzionano”: l’accusa di chi li sosteneva

“Un’idea condannata in partenza”, che “chiaramente non funziona”, peraltro costata ai contribuenti statunitensi oltre sei miliardi di dollari.

A esprimere questi giudizi perentori non è chi, come le organizzazioni per i diritti umani, ha sempre condannato l’uso dei tribunali militari per processare presunti terroristi all’interno della base militare di Guantánamo.

Si tratta del generale Ted Olson, ex funzionario della procura militare statunitense sotto la presidenza Bush, quella che all’inizio del 2002 aprì il famigerato centro di detenzione in territorio cubano.

In un’intervista a Sacha Pfeiffer della Npr, Olson afferma che anziché perseguire la via dei processi militari a Guantánamo (fermi da oltre un decennio alle udienze preliminari) e delle condanne a morte, l’unica soluzione per far andare avanti la giustizia è quella di arrivare a patteggiare condanne all’ergastolo con tutti gli imputati, compreso Khalid Sheikh Mohammad, che ne è considerato la mente.

Basta dunque con i tribunali speciali, afferma Olson. Questo cambio radicale di strategia giudiziaria si scontra ovviamente con ostacoli politici (molti repubblicani si oppongono) e anche con una legge del Congresso risalente al 2015: quella che vieta ai detenuti di Guantánamo di entrare in territorio statunitense, persino per scontare una condanna. Per Olson, va emendata.

“Le persone a bordo di quegli aerei che hanno ucciso migliaia di persone innocenti sono imperdonabili. Ma è giunto il momento di arrivare a una conclusione: per gli imputati, per i familiari delle vittime dell’11 settembre e per questo paese”.

C’è da sperare che l’amministrazione Biden dia retta a Olson, che quando parla di giustizia dovrebbe essere ascoltato in rispettoso silenzio: sua moglie perse la vita negli attacchi alle Torri gemelle.

 

 

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