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I sette anni di Napolitano e il presidente che verrà

Il quadro politico incerto scaturito dall’ultima tornata elettorale potrebbe trovare un elemento di chiarezza nell’elezione del presidente della Repubblica. La platea dei grandi elettori che da oggi cominceranno a votare ha, almeno sulla carta, un orientamento tendenzialmente laico. Ciononostante si parla anche della possibilità, se non della necessità, di un presidente “cattolico”, quale compensazione a un premier di diversa estrazione. Occorre tuttavia che sia un po’ più chiaro a tutti ciò che si intende per “laico”, in questo contesto.

Matteo Renzi, il giovane esponente Pd che sta creando maretta nel partito, con una lettera a Repubblica ha scritto, commentando il formarsi di un consenso bipartisan per Franco Marini quale prossimo presidente, che non basta un presidente “cattolico”. Reputa “gravissimo e strumentale il desiderio di poggiare sulla fede religiosa le ragioni di una candidatura a custode della Costituzione e rappresentante del Paese”. E lo scrive da “cattolico, orgoglioso di esserlo”, che agisce “laicamente” da sindaco. Elogia la Chiesa per aver scelto un papa “che muove e commuove” come Bergoglio e critica invece i politici che “si richiamano alla tradizione cattolica”, ma che “sono spesso propensi a porsi come custodi di una visione etica molto rigida”. Molti riducono la propria fede “a un semplice chiavistello per entrare nelle stanze dei bottoni”. “Mi vergogno, da cattolico ma prima ancora da cittadino, di una così bieca strumentalizzazione”, continua Renzi, “non mi interessa che il prossimo presidente sia cattolico. Per me può essere cristiano, ebreo, buddista, musulmano, agnostico, ateo. Mi interessa che rappresenti l’Italia”.

La posizione di Renzi ha causato un vespaio tra i cattolici del partito. Marini ha risposto così a Renzi, negando di essersi candidato al Quirinale: “Non ho mai utilizzato l’appartenenza religiosa per chiedere o ottenere incarichi di qualunque natura”. Gli hanno replicato Giuseppe Fioroni e Agostino Giovagnoli. Il cattolico Fioroni gli contesta di aver espresso un’idea ancora più arretrata rispetto al Concilio Vaticano II e di farsi alfiere di una visione “new age” della fede cristiana — pare di capire, simile alla religione fai-da-te tanto osteggiata da Ratzinger — che la riduce a “una qualche esperienza di felicità”. “Una visione distorta della sfera religiosa”, per l’esponente Pd. Di più, Renzi criticando “finisce per reinventare ai giorni nostri la disputa tra guelfi e ghibellini”.

Più incisiva e indicativa del clima di un certo Partito Democratico la replica di Giovagnoli, che giudica una “novità rilevante” la posizione di Renzi, sebbene ricordi che già alle primarie era emerso “il declino della presenza cattolica” nel partito. Il sindaco di Firenze, “pur dichiarandosi apertamente cattolico, si presenta sul piano politico come una sorta di post-cattolico”, che ha come progetto “l’attacco contro gli ex popolari”. Da “post-cattolico”, Renzi rende evidente l’inadeguatezza del clericalismo italiano, con la sua “politica incentrata esclusivamente sulla difesa dei valori morali non negoziabili” e l’influenza del cardinal Ruini. Giovagnoli riconosce la crisi dei cattolici ridotti a “lobby trasversale”, anche nel centro-destra. E gli imbarazzi della stessa conferenza episcopale nel sostenere Mario Monti e poi l’avventura politica di Scelta Civica. Segno di un certo cambiamento nel clima parlamentare, con l’attenuarsi del clericalismo più prepotente e diffuso.

Il Partito Democratico ha oscillato tra le candidature al Quirinale del socialista (e ateo-devoto) Giuliano Amato, della senatrice Angela Finocchiaro e del democristiano e giudice della Corte Costituzionale Sergio Mattarella. Figure che risultano prevedibilmente gradite al Vaticano. Lo stesso Giorgio Napolitano, non credente, laico per estrazione e comunista ‘migliorista’, alla prova dei fatti si è rivelato spesso clericale. Come sintetica carrellata, si ricordino alcune dichiarazioni ufficiali gradite al papa, o le comparsate su L’Osservatore Romano, organo vaticano. Ma anche mosse a favore della “reciproca collaborazione” con il Vaticano per una “sana” laicità, o l’elogio alla Chiesa che “opera per la coesione” in Italia. Nonostante le concessioni alla Chiesa, va riconosciuto a Napolitano di aver assunto una posizione davvero laica e di profilo istituzionale nel non ratificare il decreto che imponeva, nel 2009, l’alimentazione forzata per Eluana Englaro, voluto dall’ala più clericale del Parlamento.

“Peccato” che alla fine sia stato scelto proprio Franco Marini quale candidato bipartisan, quello che dovrebbe mettere d’accordo Pd, Pdl e Scelta Civica. Già Sinistra e Libertà protesta e si sfila con malumore, tanto che Nichi Vendola parla di “fine dell’alleanza” di centro-sinistra se si dovesse scendere a questo compromesso. Il Movimento 5 Stelle dopo il sondaggio tra gli utenti del sito con le “quirinarie” ha proposto Stefano Rodotà dopo il passo indietro dei più votati, la giornalista Milena Gabanelli e il medico Gino Strada. Rodotà è preferito a questo punto anche da Renzi. Oggi ci sarà la prima votazione e sapremo (forse) come andrà a finire: vedremo un nome bipartisan e accomodante come Marini la spunterà nelle prime tre consultazioni (che richiedono i due terzi dei voti, ovvero 672 sui 1007 grandi elettori).

Dal canto nostro, riteniamo che un presidente come Rodotà sarebbe un nome più lontano da logiche di concertazione partitica stile Prima Repubblica e più rappresentativo di un’Italia nuova e aperta ai cittadini. Il presidente della Repubblica è il garante della Costituzione. E la laicità è un supremo principio costituzionale. Un presidente della Repubblica deve esserne garante, e poco importa sia un cattolico o un non credente: l’importante è che si comporti da laico. Per esempio, Ignazio Marino è dichiaratamente cattolico, ma è assai più laico di un Napolitano o di un Giuliano Amato. E per questo motivo è ben poco apprezzato Oltretevere. Scremare le candidature in base al gradimento dei Sacri Palazzi è già il modo peggiore per cominciare un Settennato.

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