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I numeri dell’invalidità

I numeri dell'invalidità

Su disposizione del governo l’INPS ha effettuato nel 2009 controlli su 200.000 pensioni di invalidità erogate. Ebbene, le ASL hanno trasmesso all’INPS solamente il 9% dei fascicoli sanitari richiesti, con la conseguenza che sono stati controllati 50.000 invalidi su 200.000 affetti da menomazioni definitive; ossia inutilmente. Che bell’esempio di coordinamento e di collaborazione fra pubblici Uffici!
 
Comunque sia di ciò, sembrerebbe che la percentuale di pensioni revocate sia stata del 17%, ossia quasi una su cinque; e ciò con ampia disuniformità sul territorio nazionale (ovviamente le percentuali maggiori si sono registrate al Sud, con punte del 29 %).
 
A questo si aggiunge un netto miglioramento del contenzioso giudiziario a seguito della riforma del processo civile: i successi dell’Istituto sono aumentati del 41% e le sconfitte sono diminuite del 28%.
 
Da gennaio, poi, anno nuovo vita nuova: le richieste di pensione di invalidità vengono gestite dall’Istituto sia dal punto di vista amministrativo (le istanze devono essere fatte all’INPS per via informatica) sia dal punto di vista sanitario (un medico dell’INPS partecipa all’attività delle Commissioni Mediche Provinciali). Si è conseguita così la tracciabilità delle domande, unico rimedio concreto contro quelle che l’INPS definisce “organizzazioni con obiettivi spesso fraudolenti”; ed il primo risultato concreto non si è fatto attendere: le domande di pensione di invalidità nei primi due mesi dell’anno sono crollate dalle 350.000 dell’anno scorso alle 150.000 odierne.
 
Da tanti numeri, una sola conseguenza: un’immensa folla di questuanti, che nulla hanno a che vedere con l’invalidità, spinge sulle previdenze a favore dei veri disabili e cerca in tutti i modi di ricavarne del denaro in danno dell’erario.
 
Sarebbe anche tempo che si ponesse mano ad un secondo aspetto della normativa in favore dei disabili, quello dell’accesso al mondo del lavoro.
 
Dire che la legge che lo disciplina, la n. 68/99, ha fallito il suo obiettivo è un eufemismo : essa serve solamente alla burocrazia che ha generato ed ai politicanti esperti in clientelismo politico che strumentalmente la utilizzano.
 
Occorre un nuovo inizio, a partire dalla tracciabilità delle richieste dei disabili per il sostegno nell’inserimento nel mondo del lavoro; dall’accertamento della loro capacità proprie (“residue” è un termine bruttissimo); dall’intervento delle istituzioni sociali locali con la presa in carico dei disabili, che lasciano il mondo dell’istruzione e della formazione, per il loro avviamento al lavoro mediante un mirato servizio di tutoraggio; avviamento al lavoro da realizzarsi nel comune di residenza perché non si può chiedere alle famiglie che li assistono anche di trasferirsi altrove. E che siano cacciati via senza esitazione alcuna i falsi invalidi. Perché se il falso invalido che usufruisce di una pensione sociale ruba allo Stato, quello altrettanto falso che strumentalmente utilizza la normativa sulla disabilità per procurarsi un lavoro, ebbene quest’ultimo ruba ai veri disabili, i quali finiscono per restare senza lavoro pur avendone il diritto e, perciò, discriminati ed emarginati socialmente.
 
Se nel primo caso è dovuto intervenire l’INPS (con così tanto successo), nel secondo sono gli Uffici Provinciali del Lavoro e gli Assessorati Comunali alle Politiche Sociali a dover radicalmente cambiare pelle, a dover essere oggetto di una rivoluzione copernicana. Non è accettabile che gli elenchi della legge 68 siano affollati da una sterminata moltitudine di soggetti perfettamente sani, mentre i veri disabili, che necessitano di essere sostenuti nell’accesso al mondo del lavoro, oggi sono assolutamente, vergognosamente abbandonati a se stessi dalle Istituzioni.

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