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 Home page > Tempo Libero > Musica e Spettacoli > I giornalisti musicali sanno ancora fare il loro mestiere?

I giornalisti musicali sanno ancora fare il loro mestiere?

Riflessioni a lato dell'opera Quartett (nella foto una scena), andata in scena al Teatro alla Scala fino al 7 maggio, e su come i giornali presentano al pubblico la musica contemporanea.

E' da diversi anni che mi interesso di musica contemporanea, prima all'estero e poi in Italia, e sono consapevole che si tratta di un argomento "difficile", diciamo che non è come parlare di libri o di musica pop, salvo dover ammettere che ciò vale anche per tutti gli altri ambiti. Ma da come vengono trattate le notizie musicali nel nostro Paese mi sorge un dubbio: per parlare semplicemente, mi viene il sospetto che i colleghi che scrivono sui quotidiani (non su riviste specializzate) di musica contemporanea siano, abbastanza spesso, incompetenti. Come altro si può intendere il fatto che per la prima alla Scala di un'opera come Quartett di Luca Francesconi i commenti sono stati a dir poco superficiali, quando non indifferenti e frettolosi? Senza dubbio una parte di colpa ce l'hanno i giornali in quanto tali, dato che esiste un modo di "cucinare la notizia" che può essere imposto da un caporedattore, lo si sa, e che la cosiddetta "critica", quando esiste, stenta da sempre a far sentire le sue ragioni. I tempi in cui viviamo, certo, non sono quelli più illuminati, ma dovrebbe esistere un limite oltre il quale si possa distinguere tra l'articolo serio e il pettegolezzo raffinato condito, nel migliore dei casi, con un po' di sociologia.

Per esempio, su Repubblica del 22/4/11 la suddetta opera musicale di Francesconi, basata sull'adattamento di Relazioni pericolose (Laclos) firmato da Heiner Muller, è passata sotto silenzio per dare ampio sfoggio al direttore d'orchestra, Susanna Malkki, che possiede il dubbio vantaggio (perché dovrebbe essere un motivo così macroscopico da cancellare la musica?) di essere la prima donna sul podio della Scala. Ecco che il politically correct si lecca i baffi di fronte alla possibilità di rispolverare quel femminismo da fiera delle vanità che conosciamo bene. Ed ecco ciò che intendo per assenteismo della critica: anziché occuparsi della musica si è preferito giocare con il "contorno", con la star come si fa con il cinema, come se il primo piatto nel menu- musica per un'ora e mezza, mica per cinque minuti- non ci fosse affatto.


Forse avrei dovuto premettere che non ho alcuna preferenza per il lavoro di Francesconi, come non ne ho per la scenografia curata da Fura dels Baus o di altre maestranze coinvolte nell'allestimento. La questione, d'altra parte, non è la preferenza personale di un critico o di una parte di pubblico per questo o quell'autore, questa o quella corrente musicale. Ma, semmai, che cosa vuol dire scrivere di musica sui giornali quando persino i settimanali, diciamo pure i supplementi culturali, non reagiscono meglio preferendo aprire la pagina a tutto campo sulla solita Aida o Traviata che dir si voglia... Onoranze dovute a parte, s'intende, per via del genio di Giuseppe Verdi. E' ciò che è accaduto sul domenicale del Sole 24Ore, dove in perfetto squilibrio di spazi e, probabilmente, di intenzioni (osannare la tradizione, da un lato, deprezzare in anticipo la cultura contemporanea dall'altra?) le righe dedicate da Carla Moreni a Quartett sono appena 17, contro le due colonne ampie per quel lavoro registico mediocre - lo ammette la stessa giornalista - che è l'Aida di Ozpetek. Non era un'occasione per rovesciare i soliti equilibri tra ciò che piace al pubblico dormiente e ciò che interessa un pubblico attento, probabilmente ben informato anche se, come si dice spesso, di nicchia? E i concerti affollati dell'Auditorium di Torino, dove si suona musica di ricerca e contemporanea, come li vogliamo considerare?

Viene il dubbio, insomma, che la questione non sia soltanto giornalistica (gestione degli spazi, favori redazionali, etc.) ma, semmai, può originarsi dal fatto che non ci sono giornalisti preparati ad affrontare con i dovuti mezzi culturali opere "spiazzanti" - anche se magari non proprio eccelse, a volte - come le opere contemporanee. Se il compito dell'informazione giornalistica non è soltanto quello di adottare tecniche, nemmeno tanto occulte, di marketing culturale ma quello di essere obiettivi, magari favorendo il lettore che meno o nulla ne sa e che si chiede di che cosa si tratta, specialmente nelle pagine culturali, allora perché non dare spazio ad altre firme meno distratte?

Per concludere la rassegna stampa, ad ogni modo, ci sarebbe da citare anche l'articoletto (anche qui, la brevità regna sovrana) apparso su La Stampa il 30/04/11, a firma Giangiorgio Satragni. Che cosa si dice di Quartett? In due colonnine Satragni riesce a sbiascicare soltanto questo: "Benché egregiamente risolta da Allison Cook e Robin Adams, cantanti diversi da quelli previsti in origine, la vocalità è la parte più datata della musica". Peccato, però, che il collega si è dimenticato di dirci che cosa non è datato, ovvero che cosa ne pensa nel complesso, effettivamente, dello spettacolo: un dettaglio diventa macroscopico a detrimento dell'opera nel suo insieme. Peccato, diciamo che non sapeva che altro dire.

Purtroppo i casi di lassimo culturale di questo genere sono sempre più numerosi. C'è da sperare che, almeno sui supplementi culturali, si cominci a capire che non si può sempre vestire con pizzi e merletti il teatro che ci viene generosamente offerto nei nostri teatri.

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