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I frodatori della pubblica credulità. Sulla punibilità dell’evasione al 3%

In un paese che possiede una classe politica che viene continuamente presa in contropiede da fatti ed eventi di cui pare non aver contezza, sia per dolo che per colpa, l’ultimo episodio di tale tradizione segna un indiscusso salto di qualità verso la malafede o la stupidità, entrambe conclamate. Come che sia, questi sono solo ulteriori segni dello stato pre-terminale di un paese abituato ad ingannarsi, e che ha generato sottoprodotti tossico-nocivi da cui ha (più o meno) scelto di farsi governare.

Della ormai celebre norma inserita nel consiglio dei ministri della vigilia di Natale, è noto: in sintesi estrema, nel testo del decreto legislativo di attuazione della delega fiscale approvata lo scorso marzo era stata ridefinita la soglia dei reati tributari modificando il decreto legislativo 74/2000 attraverso l’aggiunta di un articolo 19-bis che stabilisce la non punibilità «quando l’importo delle imposte sui redditi evase non è superiore al tre per cento del reddito imponibile dichiarato o l’importo dell’imposta sul valore aggiunto evasa non è superiore al tre per cento dell’imposta sul valore aggiunto dichiarata».

Una super-soglia che di fatto scavalca quelle definite nel dlgs 74/2000, e che nel testo del governo Renzi erano riviste a 150.000 euro per «dichiarazione infedele», 50.000 per «omessa dichiarazione», 30.000 per «dichiarazione fraudolenta mediante artifici». Vi è poi la «dichiarazione fraudolenta mediante fatture o altri documenti per operazioni inesistenti» che espongano elementi passivi fittizi in misura superiore a 1.000 euro. La super-soglia del 3% ricomprende quindi anche le dichiarazioni fraudolente, cioè la frode fiscale. In quest’ultimo caso, ciò avrebbe determinato benefici effetti anche per Silvio Berlusconi, di fatto consentendogli, per il principio del favor rei, di sbarazzarsi della condanna per i fondi neri Mediaset ed anche delle pene accessorie, inclusa l’ineleggibilità per sei anni che gli è stata inflitta per mezzo della legge Severino.

Scoppia la grana, dopo le segnalazioni di alcuni organi di stampa, ed il premier fa marcia indietro. Fermi tutti, torniamo in consiglio dei ministri. A questo punto, siamo alluvionati dalle domande. Chi ha messo quella norma nel testo del decreto legislativo? Perché? Al MEF giurano di non saperne nulla, Renzi alla fine dice che la norma l’ha voluta lui, d’intesa col ministro Padoan (ohibò), ma che lui non fa leggi ad personam né contra personam. Ma il punto politico resta tutto, e sta diventando enorme. Se poi non vogliamo vedere il punto politico, ci limiteremo a guardare alla logica. In ogni caso, Renzi ne esce pesto e concio, anche se lo stuolo di corifei di cui dispone riuscirà a rimbecillirci di menzogne e rinverdirne l’epica decisionista.

Intanto, la logica: se Renzi è al corrente di tutto ed il testo gli sta bene, perché ritirarlo? Nelle sue sconcertanti parole:

«Se qualcuno immagina che in questo provvedimento ci sia non si sa quale scambio, non c’è problema: ci fermiamo, questa norma la rimanderemo in Parlamento solo dopo l’elezione del Quirinale, dopo che Berlusconi avrà completato il suo periodo a Cesano Boscone e dimostreremo che non c’è nessun inciucio strano»

Già. Peccato però che su Berlusconi penda anche una ineleggibilità di sei anni, stabilita dalla legge Severino. Quindi, se Renzi ripresentasse lo stesso testo a marzo, Berlusconi (espiata la pena) potrebbe chiedere la cancellazione di tale ineleggibilità e tornare a correre per le elezioni. Perché Renzi si pone come orizzonte temporale la fine dei servizi sociali a Cesano Boscone che è domani, politicamente parlando? Andiamo avanti. Vi irrita pensare e leggere che ogni provvedimento legislativo assunto in questo paese debba avere come benchmark Berlusconi? Irrita molto anche noi, magari per motivi differenti dai vostri. Ma se vogliamo prescindere da Berlusconi, fatevi due conti con le nuove sovra-soglie di non punibilità al 3% (dell’utile aziendale o del dovuto Iva), applicati alle grandi imprese e scoprirete che è “tanta roba”, come direbbe il nostro dinamico premier giovanilista.

La ratio del provvedimento è quella di deflazionare il penale tributario, puntando a recuperare il maltolto per via amministrativa. E la cosa va bene, in linea di massima. Sulle soglie si può discutere, anche se meglio la somma fissa (e quindi nessuna super-soglia), ampliata rispetto al passato, come del resto è stato fatto nello schema di dlgs della vigilia di Natale. Il vero principio ispiratore di questa riforma dovrebbe però essere discernere tra la cosiddetta “evasione da interpretazione” delle norme fiscali, che andrebbe depenalizzata (come si è iniziato a fare con la riforma dell’abuso del diritto) e quella che deriva dal consapevole occultamento di materia imponibile, che porta al penale, e su cui vanno stabilite le soglie di punibilità.

Pertanto, se Renzi vuole ripresentare la norma della “modica quantità” del 3%, e mantenervi inclusa la frode fiscale, si rende politicamente responsabile di un abominio. In pratica, pare che abbiamo una pluralità di Renzi: c’è quello che tuona contro la corruzione, proclamando che modificherà le leggi (per placido ddl, ma non si può avere tutto, nella vita) e che comunque “un po’ di galera te la devi fare”, che poi è lo stesso Renzi che si aggira per l’Europa assieme al suo ministro dell’Economia proclamando il proprio strenuo impegno contro l’evasione e l’elusione fiscale; e poi c’è il Renzi che legalizza la “modica quantità” nella frode fiscale e più in generale la formazione di “nero” entro il 3% dell’utile aziendale. Capita che quel nero a volte serva a pagare tangenti ma che ci frega, tanto noi in porta abbiamo Raffaele Cantone. C’è un Renzi per tutte le stagioni, praticamente una cabrio. Come gli assegni scoperti, per restare in tema (di promesse elettorali).

Pare quindi che ciò che accade in consiglio dei ministri non sia frutto del caso o di errori materiali di uffici legislativi pasticcioni. Quest’ultima evidenza ci permetterà (forse) di evitare di leggere da brillanti specialisti in “meritocrazia” che il problema è la burocrazia degli uffici. Nel caso di Renzi non si direbbe proprio, visto chi dirige il traffico all’ufficio legislativo di Palazzo Chigi.

Ergo, torniamo a bomba (e al Bomba): o è dolo oppure è colpa da manifesta insipienza condita da una arroganza mai conosciuta prima nella vita pubblica italiana. Ed ora, preparatevi: stuoli di majorettes, cocoriti e scimmiette sono già all’opera per magnificare il governo ed il Leader che bloccano provvedimenti “storti” da egli stesso approvati e “conosciuti a memoria“. Che tuttavia egli promette di ripresentare inalterati alla prima occasione utile. Ma di certo c’è una spiegazione anche per quello. La miscela di dilettantismo e avventurismo di questo premier risulterà letale a questo paese.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.110) 8 gennaio 2015 13:34

    Legalità >

    Se un riccone da 100 miliardi all’anno "froda" il fisco per meno di 3 miliardi non è da considerare "punibile" penalmente. Se incassa "solo" 100 milioni resta non punibile fino a 3 milioni "occultati". Se arriva appena a 10 milioni va nei guai come sfiora i 300mila euro,

    E’ la regola del 3%. Ovvero. Ognuno stia al suo posto.

    Anche tra i ricchi ci sono quelli "poveracci" che, se si montano la testa, si meritano la galera.

    Forse è Tutta colpa di Carosello se la "legalità" è diventata uno spot ...

     

     

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