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I conti falsi della guerra

I conti falsi della guerra

Che la guerra sia intrinsecamente il vero affare per gli Stati Uniti è ormai fuor di dubbio, vincere o perdere le guerre non è importante, l’importante è aprire le porte allo stato d’eccezione e lasciare che gli amici degli amici fcciano scempio del bilancio, esprimendo poi tangibile riconoscenza ai congressisti animati da poco genuino patriottismo e da una robustissima avidità. A puntuale conferma giungono le stranezze rinvenute nell’ultima richiesta di fondi del Pentagono, attualmente all’esame del Congresso.

Il Pentagono ha infatti chiesto, ad esempio, un miliardo di dollari extra bilancio per le forze di sicurezza irachene, motivandolo con la diminuzione del bilancio iracheno causata dal calo dei prezzi petroliferi e due miliardi di dollari per le forze americane, giustificandoli con l’aumento dei prezzi petroliferi. Una contraddizione evidente, un infortunio che capita a chi è abituato ad arruffare i conti perché sa di poter contare su un sponda politica acritica.

Tutti soldi destinati più o meno a sparire, come i quasi dieci miliardi di dollari per l’addestramento di forze afgane, un’attività che dura dall’inizio dell’invasione senza aver ancora prodotto effettivi della polizia o dell’esercito affidabili, in più di otto anni zero risultati, difficile credere che la mostruosa cifra possa trasformarsi proprio ora e davvero in poliziotti e soldati afgani.

Cifre stellari quellle che gli USA spendono per le guerre in corso e per mantenere la loro macchina militare, ma anche cifre evidentemente inflazionate, come quegli 875.000 dollari calcolati dal Pentagono come costo unitario per soldato, il doppio del plausibile a star larghi.

Non è difficile rubare al governo degli Stati Uniti quando è in guerra, gare d’appalto molto dubbie e concessioni a trattativa privata di contratti da miliardi di dollari a imprese dalla dubbia reputazione e inesistenti referenze, senza curarsi di controllare le prestazioni ricevute in cambio dai contractor del Pentagono, che puntualmente aumentano i costi e non consegnano nelle qualità e quantità previste. Un’assenza di controlli che nei primi anni d’occupazione è stata ancor più clamorosa, quando da Washington spedivano in Iraq cubi di dollari in contanti, caricati sui pallet e subito evaporati al calore di Baghdad senza che nessuno abbia mai capito dove sono finiti. Finché c’è guerra, c’è speranza.

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