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Guerra di Gaza e interesse russo

Uno degli aspetti al momento meno analizzati del conflitto fra Israele e Hamas, è quello che riguarda la sua percezione nei paesi occidentali.

Basterebbe guardare i sondaggi che indicavano, nell’immediatezza della mattanza del 7 ottobre, una forte empatia per gli israeliani, ma anche, subito dopo l’inizio della reazione contro Gaza, un rapido deteriorarsi di quella empatia diventata disapprovazione per quella che è stata ritenuta una eccessiva sproporzionalità della reazione stessa. L’opinione pubblica italiana non ha però praticamente alcuna rilevanza in merito. Mentre quella dei paesi europei ad alta presenza musulmana (Francia, Germania ed Inghilterra) è ampiamente scontata.

Altra cosa e ben altro peso può avere invece l’opinione pubblica americana a un anno dalle prossime presidenziali. Il fronte democratico rischia di presentarsi fortemente diviso proprio per l’operazione israeliana a Gaza.

Da una parte i sostenitori dell’azione di Biden a pieno supporto di Israele (benché non acritico visto l’interesse Usa per la salvaguardia degli accordi di Abramo fra lo stato ebraico e i paesi arabi “moderati”) e dall’altra parte i critici della “reazione sproporzionata” che non è difficile trovare fra i giovani, i simpatizzanti della sinistra più radicale, ivi comprese certe frange della comunità ebraica tradizionalmente democratica, e ovviamente gli appartenenti alla comunità musulmana di varia origine nazionale anch'essi democratici in spregio all'islamofobia trumpiana. Queste tendenze costituiscono le linee di faglia di un possibile terremoto elettorale se la guerra di Gaza non dovesse concludersi rapidamente.

Cosa piuttosto difficile da realizzarsi perché Israele non ha alcuna intenzione di fermarsi prima di avere dato una batosta storica alle formazioni islamiste della Striscia, Hamas in testa. E la cosa potrebbe richiedere mesi vista la precedente esperienza americana in aree densamente abitate in Iraq.

Sempreché la progressiva penetrazione dell’esercito israeliano nella Striscia, con relativo smantellamento delle infrastrutture messe in piedi nel corso degli anni da Hamas (leggi: tunnel) non convinca Hezbollah a un intervento più deciso nel conflitto, con conseguente regionalizzazione dello stesso e prevedibili scontri estremamente aspri.

In entrambi i casi, sia che la distruzione riguardi solo Gaza o che si allarghi a quella del nord di Israele e del Libano, tutto quello che succederà avrà una diretta conseguenza sulla campagna elettorale americana e, quindi, sul voto.

Un fronte democratico spaccato è ovviamente manna dal cielo per Donald Trump, più che probabile candidato repubblicano alla Casa bianca. Già l'astio della sinistra contro Hillary Clinton gli regalò una vittoria non scontata nel 2016.

Che la questione israelo-palestinese sia estremamente divisiva ad occhi occidentali è cosa nota. E questo non può che rafforzare i sospetti su una pianificazione russa del 7 ottobre, a discapito di una iraniana che è stata ritenuta molto probabile nelle settimane scorse (fermo restando che secondo molti analisti Hamas non avrebbe avuto le capacità di pianificare e realizzare autronomamente un'azione di quella portata).

Gli ayatollah – che tirano le fila dello sciita Hezbollah, ma meno quelle del sunnita Hamas – non sarebbero interessati, dicono molti esperti di geopolitica, ad un allargamento del conflitto. Esso non funzionerebbe come collante della propria opinione pubblica (che ha già dato segni di non gradire l’appoggio ai palestinesi), cosa che funziona invece alla perfezione negli stati arabi. Al contrario il regime degli ayatollah potrebbe essere seriamente impensierito per la propria tenuta se il conflitto diventasse uno scontro diretto con Usa e Israele compattati nella difesa dello stato ebraico. Una forza militare congiunta cui Teheran potrebbe infliggere danni, ma a cui poi soccomberebbe con pochi dubbi.

Dal punto di vista russo un inasprirsi dello scontro in Medio Oriente potrebbe invece essere estremamente utile.

Se gli Usa fossero costretti a rinforzare militarmente Israele, la “distrazione” del maggior alleato potrebbe rivelarsi decisamente molto penalizzante per l’Ucraina, già in difficoltà per l’insuccesso relativo della tanto attesa controffensiva estiva. E se gli Usa vedessero poi nei prossimi mesi un inasprirsi della frattura politica, tutta interna ai democratici, per la guerra israeliana, il presidente Biden potrebbe essere tentato a smorzare decisamente le velleità del governo ebraico nello scontro mediorientale. Sia Kiev che Gerusalemme potrebbero doversi adattare alle esigenze elettorali dei democratici americani.

Hamas ringrazierebbe e canterebbe vittoria (a dispetto delle distruzioni che ha gettato addosso alla sua stessa gente). Ma sarebbe soprattutto manna dal cielo anche per Vladimir Putin e la sua sconcertante guerra “di liberazione” del Donbass. La strana coppia Trump-Putin tornerebbe a sentire nell'aria un vago profumo di successo.

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