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Grillo: Parma e Sicilia, i due casi del successo

Sono arrivate. Sono arrivate le elezioni e sono arrivati i voti veri, non quelli immaginati e preconizzati dai sondaggi, cioè da più o meno attendibili ipotesi. E, al contrario delle ipotesi, i voti veri ci raccontano la realtà del corpo elettorale.

Valutando la precedente esperienza, anch’essa reale, delle elezioni comunali di Parma e facendo delle valutazioni sugli ultimi sondaggi, era possibile ipotizzare che il Movimento di Grillo, dopo una prima fase di origine nella sinistra più o meno arrabbiata e polemica in stile “Fatto Quotidiano”, comunque contenuta in 3-4 punti percentuali, dovesse il proprio exploit (20% negli ultimi sondaggi) alla vasta platea di elettori di destra, delusa dai rispettivi arruffapopolo Berlusconi o Bossi.

Morti (politicamente) questi due sembrava evidente che il loro conclamato populismo ("colpa dei comunisti" o dei magistrati rossi o dei giornalisti rossi oppure colpa di Roma ladrona, o dei meridionali o degli immigrati o degli zingari e così via farneticando) trovasse un suo sbocco logico nel populismo grillesco. Qui vige la logica del “tutti uguali, tutti ladri” e quindi “tutti a casa”, che abbiamo già sentito ripetere per anni anche dai leghisti duri e puri pur se nella loro pittoresca versione geograficamente caratterizzata. Sono gli stessi che poi si sono fregati un sacco di soldi pubblici una volta costituitosi in “cerchio magico” e che a casa alla fine ci sono finiti loro.

Oggi, dopo le elezioni siciliane, è necessario correggere il tiro. Il M5S non pesca solo a destra, come successe a Parma dove la sinistra tenne le sue posizioni tra il primo e il secondo turno (in percentuale dal 39,20 del primo turno al 39,77 del secondo, anche se in termini assoluti perse circa 600 voti) mentre il M5S passò da 17mila a 51mila voti (e senza pescare nell’astensione che aumentò dal 35 al 39% circa) rastrellando voti da quel bacino elettorale che precedentemente aveva mandato al governo cittadino una giunta a dir poco indecente.

In Sicilia la sinistra nel suo complesso (PD+IDV+sinistra radicale) aveva avuto nel 2008 860mila voti e siccome oggi ne ha messi insieme 530mila, il risultato è un bel - (meno) 330mila. La destra di certo non è andata meglio perché aveva (PDL+UDC) un milione e 860mila e oggi la stessa aggregazione (contando PDL+UDC+FLI) avrebbe preso poco più di un milione di voti, con un risultato negativo di 820mila preferenze. Di tutti questi voti perduti si è avvantaggiato il movimento di Grillo, passato da 70mila a 370mila (oltreché l’astensione, aumentata di un buon 20%).

Gli analisti sostengono che il suo successo elettorale, al di là delle motivazioni, è derivato quindi da un apporto di voti sia da destra che da sinistra, quantificato in un 17% di qua e di là. Non so come si faccia a fare questi calcoli, ma prendiamoli per buoni.

I due voti, Parma e Sicilia, propongono quindi scenari diversi che, a loro volta, prefigurano diverse prospettive politiche su scala nazionale.

Uno degli elementi che saltano agli occhi è che a Parma, a dispetto della sua tradizione di resistenza al fascismo negli anni venti, la sinistra negli ultimi dieci anni almeno è sempre stata all’opposizione (già nel 2002 il candidato sindaco del centrodestra vinse con quasi undici punti di distacco che nel 2007 aumentarono fino a tredici).

In Sicilia invece la giunta regionale di Raffaele Lombardo, il fondatore e regista del MPA oggi indagato per concorso esterno in associazione di tipo mafioso, nacque nel 2008 sostenuta da PDL e UDC (65% contro il 30% della Finocchiaro). Dopo varie traversie dovute perlopiù allo scontro tra Miccichè e Alfano, il governo regionale cadde già alla fine del 2009 e nell’estate successiva nacque un presunto governo tecnico sostenuto da un’eterogenea maggioranza composta da Mpa (cioè lo stesso Lombardo), Fli, Api, Pd e l'Udc (autonomisti, destra, centro e sinistra).

C’è da stupirsi se con questo “ballo di pupi” gli elettori siciliani si sono disgustati e sono rimasti a letto il giorno del voto dedicandosi all’antipolitica nel senso proprio del termine ?

O se, quelli che ancora dedicano un’oretta alla politica hanno deciso di votare per il più populista (o, se preferite, il meno omologato alla prassi consolidata del compromesso) dei candidati?

In conclusione sembra che si possa distinguere nell’analizzare le tendenze da cui deriva il voto per Grillo. Là dove la sinistra si compromette inutilmente (il caso Monti ha ben altre motivazioni) con la destra, la logica del “sono tutti uguali” fa vincere le tendenze antipolitiche (astensione) o alternative (M5S).

Laddove invece la sinistra si distingue nettamente e contrasta politicamente la destra, questa, sfasciandosi, porta acqua al movimento di Grillo.

Ma la struttura del “cerchio magico” sembra esistere già all’interno del movimento, in quanto intoccabile cupola dai comportamenti autoritari (vedi i casi Favia e simili fino all'incredibile reprimenda verso i candidati che vanno in televisione scordandosi che un cittadino ha il diritto di conoscere la proposta politica di chi si candida a rappresentarlo e non tutti hanno voglia di sciropparsi gli interminabili show di un comico, sia pure a tratti divertente).

Vedremo se il “fenomeno” 5 stelle seguirà la parabola di travolgente ascesa e rovinosa caduta del blocco leghista, oppure se si affermerà davvero come forza “alternativa” a destra e sinistra (passando sopra con inaccettabile superficialità alle differenze culturali e sociali fra le due tendenze perché "La storia non c'insegna niente!" dice lui, riciclando temi di centro, destra e sinistra a piacere) cannibalizzando voti di qua e di là; il collasso mediatico dell'IDV e l'immediata quanto incomprensibile apertura di credito di Grillo a un Di Pietro in coma politico stanno lì a dimostrarlo.

Il futuro dei grillini nell’immediato appare decisamente roseo, su quello del paese è lecito avere qualche dubbio. Anche perché il non-programma del non-partito non contiene una-virgola-una che meriti la dignità di riflessione culturale (a meno di considerare cultura quei misteriosi proclami apocalittici che Casaleggio - l'ammiratore di Gengis Khan - sparge in rete) né di "programma di governo" di uno stato nazionale.

Alla fine sottoscrivo la frase di Enrico Rossi, governatore della Toscana (uno che ha fatto finire in galera la rappresentante di una casa farmaceutica che cercava di corroperlo, tanto per chiarire il personaggio): "Rispetto chi lo ha votato, ma è certamente un demagogo che non è in grado di governare una società complessa".

Il rispetto va allargato anche ai giovani candidati di questo movimento, che sembrano avere tutti una faccia pulita, ma - pensatela come volete - in ogni caso resta il monito, mai smentito, del consigliere regionale Favia a proposito dei registi occulti (o quasi) del Movimento stesso: “prendono tutti per il culo”. Amen.

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