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Gorbaciov inedito

Vicino alla piazza Majakovskij, nella sede di Memorial, la più importante organizzazione russa per i diritti umani, Andrei Mironov, giornalista e attivista russo, racconta come fu arrestato e condannato alla detenzione in un gulag (Glavnoe upravlenie ispravitelno-trudovykh lagerej, “Direzione principale dei campi di lavoro correttivi”).

«Mi hanno arrestato nel 1985, prima per più di un anno mi hanno seguito giorno e notte, cʼerano sempre tre automobili con quattro persone a bordo; nella metropolitana salto su un treno che va nella direzione opposta e subito dietro di me quei quattro, chiedo lʼora a qualcuno e due lo seguono. Quanti soldi hanno speso per me!». 

Mironov viene condannato a quattro anni di detenzione e tre di esilio interno per propaganda sovversiva antisovietica in base allʼart. 70 del Codice Penale e mandato in un campo di lavoro per criminali statali particolarmente pericolosi, lo Zh Kh 385/3-5 in Mordovia, circa seicento chilometri a est di Mosca.

«Lʼufficiale del Kgb era impassibile, hanno tutti gli occhi uguali, senza espressione, proprio come Putin, senso dellʼumorismo zero. Durante il processo non ho mostrato segni di pentimento, non ero contro il potere sovietico perché non esisteva, ma contro la dittatura del partito». 

In prigione e poi nel campo Mironov viene rinchiuso in cella di punizione sei volte, messo in una cella con detenuti comuni, durante il processo simulano unʼimpiccagione, sviene. Uno dei detenuti comuni, uno scippatore, viene chiamato a testimoniare in tribunale contro Mironov: «Io non sono come lui un traditore della patria!», e il giudice constata: «Vedete, anche questʼuomo, che pure ha commesso degli sbagli, anche lui lo condanna…». 

Il cibo era immangiabile, acqua sporca con qualche spina di pesce, una decina di chicchi di grano e vermi in superficie. Lʼufficio del procuratore, cui Mironov aveva spedito una busta con i vermi, rinvia la prova materiale con la dichiarazione: “La presenza di vermi non si conferma”…

Peggio ancora erano i trattamenti per non farlo dormire prima delle udienze in tribunale o il freddo insopportabile nelle celle di punizione. Dopo un anno e mezzo di detenzione Andrei Mironov viene liberato e afferma: «Sono un turista che ha visitato il gulag». 

Verso la fine del 1986 lʼeconomia dellʼUrss attraversa una crisi gravissima, il Paese non può reggere senza i crediti occidentali. Andrei Mironov era stato condannato per aver rivelato una pesante diminuzione nella produzione di petrolio, da cui lʼeconomia sovietica dipendeva totalmente, e per aver distribuito in samizdat (distribuzione clandestina) I Racconti della Kolyma di Varlam Salamov

Gorbaciov e Reagan si incontrano a Reykjavik, le linee di credito potranno essere riattivate dopo la liberazione di centoquaranta detenuti, Mironov è nella lista. 

Foto Gorbaciov da: www.raiscuola.rai.it

«In Italia il compagno Gorbaciov è amato per il suo liberalismo. Una volta mi ha telefonato la televisione danese. Volevano fare un servizio a dieci anni dallʼincontro di Reykjavik intervistando un ex detenuto liberato da Gorbaciov. “Va bene, ma io sono stato anche imprigionato da Gorbaciov”. “Ah, un momento, chiedo al boss… Scusi, ma il boss dice che questo non va”. In Danimarca non cʼè la censura, ma questo è stato un caso di pessimo giornalismo». 

Dopo il tentativo di colpo di stato del 1991 gli attivisti del Dipartimento Storico di Memorial avevano avuto accesso per un breve periodo agli archivi del Kgb e avevano trovato proprio la sentenza con la firma di Gorbaciov.

Durante la guerra in Cecenia Andrei Mironov organizza incontri segreti tra rappresentanti ceceni e deputati russi per una soluzione pacifica del conflitto. Le sue iniziative sono in contrasto con i piani governativi di schiacciare con la forza lʼinsurrezione, Mironov subisce un'aggressione in cui riporta ferite alla testa. È curato in un ospedale in Germania, in seguito viene anche in Italia, a Roma, poi a Bergamo, e dopo otto mesi riesce a salire a piedi alla Città Alta, «per me è un simbolo».

Il museo del Gulag di Memorial verrà completato lʼanno prossimo; la sala conferenze con le inferriate in alto evoca i vagoni merci su cui venivano trasportati i detenuti; in unʼaltra stanza le valigie che i detenuti confezionavano con materiali di fortuna, vicino un busto del pittore Konstantin Sobolevski, arrestato nel 1934, condannato ai lavori forzati al tempo della costruzione del canale Mosca-Volga e poi fucilato. 

La direttrice del museo Svetlana Fedotova ricorda che i gulag furono attivi dal 1917 al 1956, seguì quella che fu definita la “dissidenza”. La legge non esisteva, contava solo la volontà del governo; per i campi sono passati da diciotto a ventidue milioni di detenuti e non si saprà mai quanti morirono; alla Kolyma, nellʼestremo Nord-Est della Siberia, lʼaspettativa di vita era di sei mesi, era di fatto un campo di sterminio. Il padre di Mironov, geofisico, nel 1952 lavorava nel settore petrolifero nella Siberia orientale, lungo la ferrovia in costruzione per oltre 150 km una visione faraonica, migliaia di detenuti in catene e ogni tre chilometri un lager. 

Durante il regime di Stalin, quando una persona veniva arrestata, lʼintera famiglia era colpita, i figli denunciavano i padri, nelle fotografie di gruppo veniva cancellata lʼimmagine del familiare; e una volta liberato, il vuoto, con conoscenti e amici che lo evitavano. Ma il terrore in Russia non è iniziato con Stalin, già con Lenin venne dato inizio al cosiddetto “terrore rosso”, furono istituiti campi di concentramento, arrestati e giustiziati ostaggi, ripristinata la pena di morte

Adesso la situazione è cambiata, ma con Putin ci sono stati nuovamente arresti di detenuti politici. Il problema maggiore secondo Svetlana Fedotova è che la magistratura non è indipendente.

«Ho vergogna che il presidente del mio Paese provenga dal Kgb, che abbia lavorato per la Lubyanka, per lʼufficio che metteva la gente in galera!». Il 75% dellʼintero apparato di potere è ora nelle loro mani, di ex agenti del Kgb. «Si può dire che il Paese stia attraversando una nuova ondata di stalinismo». 

A tre anni dalla morte in carcere dellʼavvocato Sergei Magnitsky non si è fatta ancora luce sulle circostanze del decesso, il diritto alla libertà di espressione e riunione è stato ridotto, le organizzazioni non governative che ricevono contributi dallʼestero sono definite “agenti stranieri” e vengono sottoposte a pesanti controlli, è in atto un tentativo di mettere blocchi a internet. Alle poche decine di “dissidenti” hanno fatto seguito nellʼultimo anno imponenti manifestazioni di massa e il governo è impaurito. 

 

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