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Giulio Regeni e le “verità” ambulanti

Un incidente stradale. Una rissa. Movente omosessuale. Droga. I servizi britannici, attraverso l’università di Cambridge. O quelli americani. Una banda di criminali (per inciso, cinque innocenti ammazzati). “Quelli che ce l’hanno mandato”.

Da 11 mesi su ciò che è accaduto al Cairo dal 25 gennaio al 3 febbraio di quest’anno a Giulio Regeni (l’arresto, la detenzione, la sparizione, la tortura e l’omicidio) ascoltiamo versioni ridicole, improponibili, offensive, tutte aventi l’obiettivo di scagionare da ogni responsabilità istituzioni, quelle egiziane, che peraltro si rendono responsabili ogni giorno di violazioni dei diritti umani analoghe a quelle compiute contro Giulio.

Arrivano dall’Egitto “verità” mutevoli, ambulanti. Come colui che è diventato il deus ex machina di questa maledetta storia: Mohamed Abdallah, per l’appunto capo del sindacato degli ambulanti del Cairo.

Quest’uomo (che Giulio definì “una miseria umana” e che ora singolarmente è l’eroe della letteratura cospirazionista italiana e non) da mesi racconta, poi smentisce, poi denuncia, poi rettifica. Ma siccome abbiamo la memoria dei pesci rossi, sembra che ogni volta dica qualcosa di nuovo.

Nelle sue ultime dichiarazioni, rilasciate tre giorni fa all’Huffington Post di lingua araba, Mohamed Abdallah (da non confondere con l’Abdallah buono, Ahmed, rappresentante della Commissione egiziana per i diritti e le libertà, l’associazione per i diritti umani che collabora con i legali della famiglia Regeni) racconta con orgoglio patriottico di aver fatto “ciò che ogni buon egiziano avrebbe fatto”: insospettito dal comportamento di Giulio (in Egitto viene visto come sospetto chiunque faccia domanda in giro, che sia un ricercatore universitario, un giornalista, un avvocato o un attivista per i diritti umani), lo ha braccato, spiato, registrato e poi consegnato agli uomini del ministero dell’Interno (quello diretto da Magdy Abd el-Ghaffar, sotto il cui dicastero dal marzo 2015 i casi di sparizione e tortura si sono moltiplicati).

Il passaggio successivo dovrebbe essere logico e chiarificatore: coloro cui Abdallah “consegna” Giulio fanno il resto.

E invece no. Secondo Abdallah, che si attribuisce il merito di aver fatto uscire allo scoperto il “vero” ruolo di Giulio, il resto lo fanno “quelli che ce l’hanno mandato”.

Dunque, un altro depistaggio offensivo. Che ci riporta alle versioni iniziali.

Il deus ex machina Abdallah resta l’anello debole della catena. Manovrato, forse ricattato a sua volta. O protetto e istruito a dire la “verità” ambulante del momento. Quella che, è un’ipotesi, potrebbe essere stata commissionata da qualche funzionario egiziano che avverte il pericolo di essere sacrificato in nome di quella “verità” di comodo (che nessuno voleva e che, alla fine, non scontenterebbe le nostre istituzioni) che vedrebbe implicati sì dei rappresentanti delle istituzioni ma senza alcuna catena di comando e mandato ufficiale. Sul perché questa “verità” di comodo non regga, si legga qui.

Siamo lontani dalla verità-quella-vera, dalla verità senza virgolette, dalla verità scomoda.

E siccome ad aprile, per premere affinché quella verità venisse fuori, il governo aveva deciso di richiamare temporaneamente l’ambasciatore al Cairo, non si capisce perché adesso quella decisione dovrebbe essere riconsiderata.

 

Illustrazione di Gianluca Costantini. 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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