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Giappone, ex paradiso dei pensionati

Il 16 giugno scorso il premier giapponese, Shinzo Abe, ha illustrato gli aggiornamenti alle linee guida della sua ormai mitologica “terza freccia”, quella delle riforme strutturali che dovrebbero liberalizzare molti ambiti di attività economica ed innalzare per questa via il potenziale di crescita dell’economia. Ieri è arriva un’ulteriore indicazione da parte del ministro delle Finanze, Taro Aso, che riporta sulla terra il mito del Giappone stampatore di felicità.

Andando con ordine, e per creare un minimo di suspense, Abe ha promesso la riduzione dell’aliquota d’imposta sulle società dall’attuale 35% sino ad un target compreso tra il 20 ed il 30% lungo l’arco di alcuni anni. Non è chiaro da dove proverrà la copertura di tale misura: potrebbe giungere dall’eliminazione di crediti d’imposta ed altri loopholes, in modo da allargare la base imponibile e consentire in tal modo la riduzione delle aliquote nominali. Si attendono dettagli.

Poi, Abe è strenuamente impegnato a ristrutturare il settore agricolo, che è una delle maggiori constituencies del Partito Liberaldemocratico, riducendone gli enormi sussidi (che sono spesa pubblica, in caso vi fosse sfuggito), anche per poter sbloccare i negoziati della Trans Pacific Partnership, il grande accordo commerciale regionale che coinvolge anche gli Stati Uniti. Per spingere il mercato azionario, il governo di Tokyo si prepara a modificare i limiti d’investimento del GPIF, l’enorme fondo pensione nazionale, aumentando la quota investibile in azionario. Inoltre, è prevista la modifica della fiscalità delle famiglie per aumentare l’offerta di lavoro femminile.

Atto dovuto, in un paese che vuole aumentare il Pil potenziale ma non intende aprirsi all’immigrazione di massa. Riguardo gli ambiti tradizionalmente intoccabili vi è poi l’ipotesi di riformare il mercato del lavoro giapponese, nel senso di consentire alle imprese di negoziare orari di lavoro e retribuzione direttamente con il lavoratore anziché seguire i contratti nazionali.

E sin qui, nulla di che. Il punto più interessante è quello vagheggiato dal ministro delle Finanze, Taro Aso, sulle modifiche all’indicizzazione delle pensioni. L’attuale meccanismo, in vigore dal 2004, prevede che le pensioni vengano rivalutate meno della crescita del livello generale dei prezzi, in modo da aggiustare il sistema all’aumento della speranza di vita ed al numero decrescente di lavoratori attivi (cioè all’aumento del tasso di dipendenza). Tuttavia tale meccanismo (detto di “scivolo macroeconomico”) prevede un “pavimento” di indicizzazione annuale a zero, in caso di deflazione. Ciò significa che i pensionati giapponesi hanno goduto, in questi anni di calo dei prezzi, di un ininterrotto rafforzamento del proprio potere d’acquisto. Ora che il governo punta ad un tasso d’inflazione stabilmente positivo ed intorno al 2%, questo tipo d’indicizzazione servirà a piegare la spesa pubblica reale per pensioni. Di conseguenza, i pensionati giapponesi appaiono destinati a subire una erosione del loro potere d’acquisto che non pare deporre favorevolmente per lo sviluppo dei consumi, già messi a rischio in un paese molto anziano. Ricordate: i paesi ad alta proporzione di pensionati non sono particolarmente avversi alla deflazione, anzi.

Perché dovrebbe essere chiaro a tutti che obiettivo del governo giapponese, oltre al rilancio della crescita, è la sostenibilità delle finanze pubbliche, in termini di controllo del deficit e di riduzione dell’onere reale dello stock di debito.

Motivo per cui tutto serve alla bisogna. Ovviamente, serve anche che qualcuno informi i sognatori di casa nostra, convinti che le stampanti della Bank of Japan avrebbero aperto un’epoca di copiose piogge di manna dal cielo. Sfortunatamente i vincoli di realtà esistono ovunque, anche in Giappone.

 

Foto: Lance Shields/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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