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Germania 1923: ultima occasione. L’ottobre tedesco e il suo fallimento

Un libro recente (Corrado Basile, L’«ottobre tedesco» del 1923 e il suo fallimento, Ediz. Colibrì, Paderno Dugnano, 2016) ricostruisce efficacemente una vicenda lontana, di cui ricorrerà tra breve il centenario, ma che pochissimi celebreranno: l’ultima occasione rivoluzionaria nella Germania squassata dall’inflazione e sotto il tallone delle truppe dell’Intesa.

D’altra parte tutta la storia della Germania nel primo dopo guerra è stata sostanzialmente rimossa rapidamente da tutti i responsabili della brutale violenza che aveva soffocato sul nascere una rivoluzione non meno profonda di quella russa, anche se priva di uno strumento credibile e riconosciuto di direzione del movimento operaio. Sul mio sito ci sono diversi scritti dedicati soprattutto al ruolo e alla tragedia della Luxemburg, rinvio a uno di essi che mi sembra più sintetico e al tempo stesso in grado di fornire diversi elementi per inquadrare quel primo periodo e anche alcune delle ragioni della rimozione: Rosa L

L’assassinio di Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht e di centinaia di esponenti della sinistra socialista “spartachista” da parte di mercenari arruolati da un governo socialdemocratico è stato sempre imbarazzante non solo per gli eredi dei mandanti, ma anche per quelli del movimento comunista stalinizzato, che aveva sempre provato un grande fastidio per la grande e originale rivoluzionaria internazionalista. E altrettanto hanno fatto non solo, per ovvie ragioni, i fascisti tedeschi ed europei, ma anche i borghesi democratici interessati a nascondere le loro responsabilità nel facilitare la “resistibile ascesa” del nazismo, ultima fase di una lunga serie di crimini.

Il libro di Basile è dedicato a un tema ancora più scottante, l’occasione mancata durante l’ultima manifestazione acutissima della crisi sociale e politica iniziata fin dall’autunno 1918. Nel corso degli anni successivi i tentativi di rispondere agli attacchi costanti dei militari e delle formazioni di estrema destra erano stati numerosi e avevano provocato non solo molti morti ma anche tensioni e laceranti scissioni del movimento comunista. Ad esempio in occasione della cosiddetta “azione di marzo” 1921, che Paul Lewi, amico e collaboratore di Rosa, aveva attaccato pubblicamente come “un putsch di tipo bakuninista”, finendo espulso per l’indisciplina con l’avallo dello stesso Lenin, che pure riteneva che egli avesse “politicamente ragione”. Altra cosa saranno le espulsioni successive, conseguenze delle giravolte della burocrazia sovietica e della sua necessità di trovare frequentemente nuovi capri espiatori.

Nei primi anni il partito comunista, privato dei suoi quadri migliori dalla ferocia della controrivoluzione preventiva già dal gennaio 1919, aveva stentato a superare le ingenuità e le tentazioni settarie di molti dei suoi militanti, che non riuscivano a capire ad esempio il senso della tattica di “Fronte unico proletario” proposta dall’internazionale. Come era possibile proporre l’unità d’azione a un partito socialdemocratico in cui avevano un peso determinante i mandanti degli assassini di Rosa e Karl? Gran parte degli sforzi di Lenin e di Trotskij erano stati impegnati a contrastare l’estremismo, non a caso definita “malattia infantile”, perché frequentissimo in militanti che avevano raggiunto da poco la comprensione della necessità di rompere con la socialdemocrazia e pensavano fosse semplice ed automatico il distacco di tutti quelli non molto diversi da loro che tuttavia, pur criticando i dirigenti, rimanevano attaccati ai simboli e al nome del vecchio partito. La tragedia del movimento operaio tedesco fu preparata da anni in cui il partito comunista, rifiutando di ascoltare i suggerimenti dei leader della rivoluzione russa, continuò ad accumulare errori che facilitarono il compito dei centristi della cosiddetta internazionale due e mezzo, che finirono per ritornare all’ovile trascinando con sé anche una parte dei quadri operai che avevano avuto un ruolo importante nel movimento dei consigli della prima fase della rivoluzione, e che erano stati respinti dall’ultimatismo della KPD.

Il libro di Corrado Basile si concentra soprattutto sul 1923, un anno terribile prima di tutto per l’inflazione che svuotava i salari (ma anche e soprattutto le pensioni e tutti i redditi fissi) a velocità impressionante: si pensi che il dollaro, già ridotto a un cinquantesimo del suo valore nel 1914, valeva 18.000 marchi in gennaio e ben 8.000.000 di marchi il 1° novembre. Un’inflazione non spontanea e non “incontrollabile”, ma che consentiva ai grandi industriali un’immensa truffa legale: si liberavano in un colpo solo dei loro debiti e accumulavano fortune colossali oltre a quelle già ottenute con le forniture militari. Si aggiungevano anche le prepotenze delle truppe franco-belghe, che già nel gennaio avevano occupato il bacino della Ruhr per estorcere il pagamento dell’immenso debito legato alle riparazioni di guerra.

La fucilazione da parte delle truppe di occupazione della Ruhr di un nazionalista, Albert Leo Schlageter provocò un vivace dibattito nel partito e nell’IC: per qualche tempo soprattutto Karl Radek, che rappresentava l’Internazionale, aveva detto di ritenere che “la grande maggioranza delle masse sensibili al problema nazionale non appartenga al campo del capitale bensì a quello del lavoro”.

Noi vogliamo trovare la via che porta a queste masse, e ci riusciremo. Faremo di tutto perché uomini come Schlageter, pronti a morire per una causa comune, diventino, anziché vagabondi nel nulla, viandanti verso un futuro migliore dell’intera umanità, i quali non spargano il loro sangue, caldo e disinteressato, per i profitti dei baroni del ferro e del carbone, ma per la causa del grande popolo lavoratore tedesco, membro della famiglia dei popoli in lotta per la libertà. Il partito comunista dirà questa verità alle più ampie masse popolari della Germania, poiché esso è il partito dei proletari combattenti, in lotta per la propria liberazione, per una liberazione che si identifica con la liberazione dell’intero popolo, con la liberazione di tutti coloro che in Germania lavorano e soffrono. […] Noi siamo sicuri che centinaia di Schlageter la intenderanno e la comprenderanno.

Corrado Basile, anche se di formazione bordighista, ha sottolineato l’importanza di questa impostazione, purtroppo rimasta sostanzialmente senza un seguito pratico non solo per lo scarso ascolto dato dai possibili nuovi Schlageter, ma per lo scarsissimo impegno della KPD e di parte dell’IC, in particolare per l’ostilità del PCF e del rappresentante dell’IC a Parigi, il buchariniano svizzero Jules Humbert-Droz, che considerava “deleteria” la proposta di Radek. Basile polemizza anche con chi, anche in Italia, ha scambiato la linea Schlageter con una specie di “fronte unico coi nazisti”.

E sempre polemizzando con gli estremisti che hanno sottovalutato o rifiutato le valutazioni di Lenin in proposito, Basile insiste invece sull’importanza della difesa fatta da Lenin non solo degli accordi con singoli capitalisti di vari paesi per rimettere in piedi l’industria estrattiva o quella idroelettrica o la stessa agricoltura, sottolineando che in particolare quelli con la Germania apparivano essenziali. Compresi gli accordi militari, che in effetti vennero concordati ai margini del Trattato di Rapallo con i protocolli segreti sulle fabbriche di armi da spostare in Russia. Difficile da capire oggi, dopo decenni di sciovinismo introdotto col cavallo di Troia del “socialismo in un paese solo”, e consolidato in pregiudizio antitedesco (anziché antinazista) durante la Grande Guerra Patriottica, come non a caso, da Stalin a Putin il nazionalismo russo ha ribattezzato la Seconda Guerra Mondiale.

Troppo denso di avvenimenti quell’anno per poterli riassumere in una breve recensione. Accenno solo a una mia perplessità nei confronti di un’ossessiva esecrazione di una presunta linea “operaista” (nel senso di un’attenzione quasi esclusiva al problema della conquista della classe operaia) prevalente secondo Basile nella Terza Internazionale di quegli anni. Condivido, ho già detto,l’apprezzamento della correttezza dell’analisi di Radek che voleva impedire che il malcontento popolare per la fame, la disoccupazione, ma anche l’ingiusta umiliazione del popolo tedesco a cui venivano fatte pagare le colpe di una guerra che tutte le potenze avevano voluta, venisse capitalizzato dall’estrema destra in cui il nazionalsocialismo era ancora un fenomeno sostanzialmente marginale (come rimarrà fino al 1929). Ma credo che la sconfitta del proletariato tedesco (non solo nell’episodio insurrezionale preparato e fatto abortire che è al centro del libro, ma a maggior ragione negli anni successivi) non sia stata dovuta a un eccesso di attenzione ai problemi della classe operaia, ma al contrario a una forte ideologizzazione dello scontro anche fisico con i nazisti e la socialdemocrazia, senza un adeguato programma per l’occupazione (ad esempio era sistematicamente ignorata la tematica della riduzione d’orario) e per la difesa delle condizioni di esistenza.

Vale la pena di riparlarne, al di là di questo episodio storico particolare, di cui forse l’autore accresce l’importanza. Ne avevamo parlato sul sito in La crisi del 1929 e l'ascesa del fascismo, e nel più breve Come lottare contro l’ascesa del fascismo, che aveva però alcune segnalazioni bibliografiche. Ne parleremo ancora…

(a.m.)

PS. Il libro merita di essere letto: chi volesse acquistarlo può scrivere a[email protected]

 
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