Generazione distribuita. Intervista ad Armando Fanelli
Laureato in Ingegneria Elettrica, indirizzo Energia, al Politecnico di Bari, mi occupo di energie rinnovabili, risparmio energetico e studi ambientali. Sono Responsabile Tecnico della Esco (Energy Service Company) Mediterranea Energia srl. Gestisce il blog “Generazione distribuita”, sul tema dell’energia, in particolare in Italia.
Per rispondere a questa domanda, segnalo un testo che mi permetto di consigliare “Il Nucleare Impossibile” a cura di Virginio Bettini e Giorgio Nebbia, 2009 Ed. Utet, che presenta degli studi internazionali utili proprio sulla comparazione dell’emissione di CO2 delle diverse tipologie di centrali elettriche. I risultati sono contrastanti e contradditori, tuttavia, riassumendo, si può affermare che le emissioni di anidride carbonica espresse in grCO2 /kWhe (grammi di CO2 per kWh elettrico) oscillano da un minimo di 2 a un massimo di 156 per il nucleare, da 11 a 37 per l’eolico, da 6,3 a 64 per l’idroelettrico, da 385 a 460 per il ciclo combinato a gas, da 755 a 941 per il carbone (pagg 57, 58); lo studio continua dimostrando che, per diverse concentrazioni di uranio, per una centrale nucleare si arriva anche ad avere emissioni superiori a quelle di una centrale a gas. È ovvio che questi numeri prendono in considerazione non solo il ciclo di vita dell’impianto ma anche tutto ciò che è a monte (costruzione, approvvigionamento, ecc.) e ciò che è a valle (smaltimento, bonifica, ecc.). In questa classifica rientrano anche altre forme di energia, come il fotovoltaico (pag. 220), tuttavia, non dovrebbe essere più messo in discussione che l’energia nucleare è tutt’altro che a emissioni zero. In ogni caso, l’emissione di anidride carbonica non è l’unico fattore inquinante che interviene in centrali termoelettriche/nucleari, dovremmo aggiungere polveri sottili, metalli e cos’ via, a differenza delle rinnovabili, che sono realmente a emissioni zero durante il loro ciclo di vita.
In un mio articolo ho riportato la seguente notizia: “Authority contro i reattori francesi. Dagli organismi di sicurezza di Parigi, Londra e Helsinki riserve sul programma EPR”. L’unica certezza dei cosiddetti impianti di “terza” generazione è che il sito di Olkiluoto, li dove è in costruzione lo stesso EPR che si vuole proporre in Italia, è in tremendo ritardo, ancora cantiere aperto, con disastrose conseguenze economiche. Tuttavia, tale EPR dell’Areva o l’equivalente AP1000 della Westinghouse, sono ritenuti estremamente sicuri. È un’affermazione pari al pronostico che potrei fare sulla prossima squadra vincente ai mondiali di calcio. Dati alla mano, gli impianti attualmente esistenti stanno presentando continui incidenti, tra l’altro inevitabili dato il naturale legame intrinseco tra i guasti e gli impianti tecnologici. In ultimo, va esclusa l’idea di “terza” generazione, visto che tali impianti rispetto ai predecessori di “seconda” hanno ben poco di diverso. A parte la doppia corazza utile all’eventuale caduta di un aereo sul sito, non ci sono sostanziali differenze nel processo di lavorazione, se non nel design, e questo significa che gli incidenti come quelli causanti l’inquinamento delle acque di raffreddamento e quindi delle falde, che sono i più frequenti registrati, si potranno verificare allo stesso modo.
Questa volta risponderò brevemente. Così come non è possibile essere indipendenti dal petrolio (carbone, gas o combustibile fossile che sia), allo stesso modo possiamo dimenticarci di sperare in un mondo libero se vorremo usare materiale radioattivo. Le logiche che interverranno saranno le stesse che hanno dominato la scena mondiale degli ultimi anni dall’inizio dell’uso del petrolio, vale a dire guerre, logiche politiche, commerciale e così via. Un paese come l’Italia dovrebbe acquistare il materiale nucleare da altri paesi. Sarebbe utile ad esempio mostrare a chi pensa che l’uranio si trovi sotto l’asfalto, cosa significa estrarlo, trasportarlo, modificarlo e utilizzarlo. Un esempio è ciò che avviene nel Niger, dove la francese Areva attinge per i suoi impianti. Studi di Greenpeace hanno mostrato a tutto il mondo, anche con video, cosa si cela dietro la faccia oscura del nucleare.
Attualmente abbiamo le bollette più care d’Europa semplicemente per tre grandi motivi:
1. dipendenza dei combustibili fossili 2. inefficiente mercato libero dell’energia 3. notevoli disparità fiscali. Migliorando il secondo e terzo punto, arriveremmo alla pari di altri paesi, come la Francia (che ha un prezzo più basso per tali motivi e non per l’uso del nucleare). Se eliminassimo anche il primo, arriveremmo alla pari di paesi come Germania e Danimarca, dove attualmente intere città passate totalmente al rinnovabile, hanno annullato il costo della bolletta! Naturalmente per arrivare a ciò, sarebbe assurdo passare per il nucleare che, in ogni caso, è comunque un combustibile fossile.
Non credo che sentiremo più parlare di esempio francese, in quanto la Francia non solo è a rischio blackout come lo eravamo noi nel 2003 (tutti ricorderanno le ore al buio del 28 settembre di quell’anno), ma per la prima volta nella sua storia si trova a dover importare energia dall’estero, così come abbiamo fatto noi per tanto tempo in passato! Ironia della sorte però, mentre loro si sono resi conto dell’inefficienza del nucleare e quindi non hanno in previsione alcuna costruzione, hanno trovato l’Italia il giusto sito dove andare a vendere le centrali dell’Areva (controllata dall’EDF).
La risposta sta nel concetto di “generazione distribuita” che descrivo nella prossima domanda, tuttavia la strada da prendere non considera solo la produzione di energia elettrica. Come ben spiega Lester Brown in “Piano B 3.0” (ed. Ambiente; è uscito da poco l’aggiornamento Piano B 4.0), bisogna percorrere l’intera impronta ecologica dell’uomo sul pianeta (vedi anche Fred Pierce in “Confessioni di un eco peccatore”, ed. Ambiente), partendo da come ci muoviamo, quindi i trasporti, da dove viviamo, cioè la realizzazione delle nostre case, da come viviamo, quindi quanto consumiamo di acqua ed energia in casa, da cosa consumiamo, dai cibi ai vestiti. Ma per rispondere più concretamente alla domanda, concentrandosi solo sulle forme di generazione di energia elettrica, si tratta di scegliere se investire enormi somme su un nucleare che a medio termine ci porterebbe a pagare più di quanto non facciamo già, oppure se continuare a sperare nelle giacenze di petrolio, gas o carbone, invece che scegliere le forme di energia rinnovabili, quali sole, vento e acqua. Solo il solare a concentrazione, per il quale il nostro Giorgio Nebbia ha dato un contributo decisivo, che solo oggi presenta rendimenti alla pari con le centrali termoelettriche, ci dice che se sfruttassimo solo il 2% del deserto del Sahara (terreno attualmente credo abbastanza inutilizzato) produrremmo energia sufficiente a soddisfare l’intero fabbisogno mondiale.
Ad oggi si discute sostanzialmente di quale fonte di energia possa essere quella vincente, pensando però sempre a grandi centrali elettriche installate a chilometri di distanza dalle utenze. Che si tratti di nucleare o di un parco eolico o fotovoltaico (ultima moda delle grandi società) il risultato è sempre quello di produrre energia che deve essere trasformata in cabina elettrica, percorrere chilometri e ritrasformarsi per entrare nelle case e negli uffici. In tutto questo si è perso almeno il 30%, che ovviamente viene pagato in bolletta, per non parlare della dipendenza di un sito dalla rete (blackout) e dalla dipendenza economica (aumenta il costo di approvvigionamento della materia prima, aumenta il costo in bolletta). Se invece tutti noi, case, industrie, ospedali, ci producessimo energia in casa nostra, con un pannello fotovoltaico, un impianto microeolico, un cogeneratore, avremmo energia illimitata, bolletta azzerata e totale indipendenza economica. Ciò che ho appena descritto è quella che viene definita “generazione distribuita”, vale a dire produrre in prossimità del sito, quindi senza dover costruire centrali gigantesche (che tra l’altro arricchiscono solo le grandi aziende), ma solo piccolissimi impianti dimensionati per le singole utenze (che arricchiscono solo il cittadino). Questa è una realtà ben avviata in paesi all’interno di diverse nazioni europee (in particolare Germania, Austria, Danimarca), vale a dire in comuni che hanno raggiunto l’indipendenza energetica producendo in casa propria energia elettrica e termica da 100% fonti rinnovabilli, vendendo l’eccesso al distributore locale di rete, quindi arricchendosi.
È un’assoluta realtà. Sarà matematico che riusciranno a raggiungere questo obiettivo e non è l’unica nazione. Ciò che sta succedendo in questi paesi, vedi infatti in Austria nella città di Gussing, in Danimarca nell’isola di Samso o in Germania nel paese di Schonau, è che singoli municipi hanno iniziato a raggiungere la condizione di indipendenza economica da 100% rinnovabile, e così la situazione si è estesa ad alcune province. Il processo si sta estendendo e inevitabilmente nel corso dei prossimi anni coprirà l’intera nazione. Sicuramente la Danimarca e la Germania sono le nazioni da prendere come esempio, poiché costruendo case a basso consumo, migliorando i trasporti pubblici e le vie per i ciclisti, sposando la cultura del rinnovabile, saranno le prime nazioni ad essere 100% rinnovabili. Ovviamente anche l’Italia può non essere da meno, e lo dimostra l’ultimo rapporto di Legambiente da cui si evince che diversi comuni sono anch’essi sulla buona strada per trascinare l’intera nazione ad essere totalmente sostenibile.
Commenti all'articolo
Lasciare un commento
Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina
Se non sei registrato puoi farlo qui
Sostieni la Fondazione AgoraVox