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Gaza, sopravvivere davanti alla morte

Passare da una scodella, riempita quando si può e riscaldata alla buona, al lettino d’un ospedale con un’ampia fasciatura sulla ferita curata prima che una sequenza di bombe la spazzi via assieme a medici, infermieri e feriti, è da settimane l’orrenda realtà della Striscia di Gaza. 

Amplissima la documentazione mediatica, tantoché alle migliaia di vittime civili (finora quindicimila, ma la guerra continuerà ricorda inesorabile il premier israeliano Netanyahu) si sono aggiunti, giorno dopo giorno, oltre cinquanta cadaveri di giornalisti e cineoperatori. Mica tutti colpiti per sbaglio. No. Mirati e centrati, come gli ultimi della lista, Farah Omar e Rabie al-Maamari, segnalati quali corrispondenti della tivù libanese Al Mayadin vicina a Hezbollah, dunque considerati nemici giurati e fatti fuori. Pacem in terris e via, da una terra senza pace. L’accordo che sta liberando 50 ostaggi israeliani, reclusi da Hamas in qualche atrio sotterraneo che l’Israel Defence Forces in azione e distruzione non è finora riuscito a raggiungere, in cambio di 150 prigionieri palestinesi e un effimero cessate il fuoco, varrà per quattro giorni. Poi dagli F35 e dai Merkava le bombe riprenderanno a cadere su edifici e teste, sui poveri corpi martoriati di chi non sa dove stare e dove andare. E non lo sa neppure chi punisce questa gente col sanguinario trapasso, con la sospensione di un’esistenza nata grama e proseguita mortifera.

Così quel piede inerte sotto un tramezzo di cemento che pesa quintali e chi è lì ad aiutare con le nude mani non riesce a sollevare, può essere di tuo figlio o comunque d’un qualsiasi figlio di Palestina destinato a sparire. Se non è crepato alla deflagrazione, se ha resistito addirittura al crollo, morirà davanti allo sguardo disperato di soccorritori urlanti e indaffarati, ma impotenti di fronte a un’estrazione impossibile. Resa tale da chi scientemente e in barba alla coscienza decide di portare morte, fulminante o lenta, compresa quella per fame e infezioni. Piaghe bibliche orientate da chi guida il popolo eletto. Allora pensi che è giunta l’ora del sudario, meglio finire una sopravvivenza stentata. E seppure davanti all’inumana tragedia che hai sotto gli occhi non lo pensi, questo è l’esiziale orizzonte che ti senti già avvolto nel lenzuolo bianco. Presto ricominceranno. L’annunciano, fa parte di quello che chiamano accordo sottoscritto dagli stessi leader d’ogni fronte. Domani, fra quattro giorni, ti toccherà morire. Sarai un martire adagiato in una fossa comune, ricoperto di quella terra che i grandi della Terra dicono ma non vogliono pacificare. Né offrire speranza di vita a chi angosciosamente d’intorno trova solo rovine. 

Enrico Campofreda

Foto Prachatai/Flickr

 

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