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Funerali di “Stato” per Placido Rizzotto ma anche per l’articolo ‘diciotto’

Che strani i controsensi della politica! Che cosa hanno in comune la richiesta di funerali di Stato per un eroe che combatté i più sordidi residuati dell’Ancien Régime feudale nel Meridione ancora ‘medievale’ e la possibile abolizione dell’articolo 18? A vedere la stampa nulla, ma ad analizzare i fatti e le persone coinvolte molto. Nella seconda metà degli anni ’40 si consumò al Sud una lotta atavica, che nessuno ricordava fino a qualche anno fa a causa del progresso di cui tutti abbiamo goduto negli ultimi decenni. Tuttavia, ora, in molti possono esser sempre più solidali con quel mondo ancestrale - che iniziò a finire appena sessanta anni fa - per chiare analogie di sopraggiunto regresso sociale ed economico in tutta Italia.

I contadini meridionali chiedevano l’abolizione di quel residuato feudale che era il latifondo e la conseguente liberalizzazione delle terre. L’Italia, già, sempre l’Italia, avrebbe avuto seriamente bisogno di questa riforma all’indomani dell’unificazione, ma la cinica quanto ceca Realpolitik dei Savoia aveva optato per il mantenimento di quel mondo retrogrado per chiari motivi di consenso da parte dei nobili latifondisti meridionali, compromettendo così per sempre il futuro sociale ed economico del Meridione.

A pochi anni dalla legge Agraria del 1953, che avrebbe risolto la questione delle terre, Placido Rizzotto - del quale ometto i particolari biografici e storici – lottò fino alla morte insieme ai contadini e alle forze sociali per ottenere un diritto che era alla base di qualunque governo democratico partecipativo: la liberalizzazione delle terre per l'appunto. Il mondo meridionale che era stato dipinto in parte qualche decennio prima da Carlo Levi, e prima ancora da autori come Verga, era arretratissimo; un mondo in cui il tempo sembrava essersi fermato, nel quale la gran parte della popolazione era analfabeta o semi-analfabeta, in cui prevaleva a livello agricolo il latifondo e il fenomeno della mezzadria, con conseguente stagnazione dell’economia locale, dalla quale l’unico modo per sfuggirvi era l’emigrazione o “l’arruolamento” nell’apparato burocratico della nazione quando c’erano le possibilità. Quest’ultima era preclusa ai paria del mondo agricolo analfabeta.

Quel mondo, in cui la “casta”, collusa con una certa politica e le organizzazioni criminali mafiose, che era stata al potere nell'epoca monarchica e in quella fascista, e che non voleva perdere il timone che presto le sarebbe stato in parte strappato, vedeva di cattivo occhio tutto quello che cercava di minare alla base il proprio potere. Perdere le terre avrebbe significato la fine di quell'antico dominio e la cessazione del monopolio di potere su di un mondo che ormai era destinato a cambiare per sempre. Il sacrificio di Rizzotto fu, ed è, l'emblema di una lotta per la sopravvivenza e soprattutto per lo sviluppo di una classe medio-bassa basata sulla libera proprietà della terra - anche se il Sud a quel tempo avrebbe avuto altresì bisogno soprattutto di politiche industriali.

A ragione, ora, tutti, o quasi, bipartisan, nel mondo politico invocano la giusta e laica consacrazione di quell'eroe; da Veltroni a Cicchitto un solo grido: funerali di Stato per l'eroico sindacalista e socialista della CGIL.

Sorge ora uno strano contrasto: da un lato chiedono la canonizzazione legittima di quel “gigante” che lottò proprio contro gli interessi di una certa casta di allora, che aveva impedito per quasi un secolo al Sud di sorgere ed elevarsi fuori dalla miseria, dall’altra auspicano con forza l'abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, l’ultimo baluardo che preclude alle aziende sopra i 15 dipendenti e ai loro azionisti - appartenenti spesso in toto ad un’altra casta - di svincolare quel capitale umano dalle proprie aziende senza colpo ferire; si fa per dire. L'ultima roccaforte, che può ancora impedire a molte aziende di andarsene dal territorio nazionale senza troppo clamore, deve dunque necessariamente esser abolita così da consentir in toto la possibile delocalizzazione completa delle proprie attività produttive, ormai divenuta quasi impossibile vista l'enorme morsa fiscale che pesa sul lavoro e sulla produzione in Italia. Ergo, l’abolizione dell’articolo 18 potrebbe scatenare non un’assunzione a raffica, ma l’esatto contrario, la completa delocalizzazione, con crescente crescita della disoccupazione, con grave danno finale del PIL nazionale e della sua fiscalità. In più, oltre al danno economico, a questo punto, l'Italia potrebbe continuare a perdere tutte le capacità produttive favorendo un impoverimento sociale oltre che economico dei censi medio-bassi italiani, favorendo realtà degradate, quasi come quelle dalle quali il Sud è – quasi - uscito pochi decenni or sono.

In realtà, la cosa che rattrista e preoccupa la gente seria è che il governo anziché auspicare l'abolizione di diritti dovrebbe invece promuovere la defiscalizzazione a livello competitivo con Slovenia, Albania e paesi affini di alcune aree depresse del Sud in particolare e dell'Italia in generale e favorire così una delocalizzazione o/e il ritorno delle aziende italiane nel Paese stesso, nonché l'arrivo di aziende e capitali stranieri. E' chiaro quanto lapalissiano che dovrebbero esserci riforme anche in altri campi come quello della giustizia e della lotta alla corruzione.

In questo scenario, già come allora, sembrano esserci tutti: i politici ipocriti e ricottari collusi con i membri della casta, o essendone essi stessi membri, i mafiosi in politica, i poveracci a cui far la pelle e i sindacalisti opportunisti, salvo casi ammirevoli, che hanno precedentemente dismesso il proprio potere per poi far finta di reclamarlo; però mancano certamente i veri protagonisti, quelli che nella causa ci credono per davvero ed hanno le idee molto chiare; mancano, specie a livello alto, proprio quelli come Placido Rizzotto nella politica, nei sindacati e tra i “tecnici”. Gente che vada fino in fondo sul serio. Persone, possibilmente senza conflitti di interessi o di altro, che non abbiano la pancia piena e che abbiano la testa piena di idee vere e concrete.

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