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Front National | L’ossimorica Internazionale nazionalista e l’Europa à la carte

Giorni addietro, nella tradizionale retrospettiva di fine anno, il Financial Times ha ricordato la triste storia di Marine Le Pen, che solo un anno fa di questi tempi pareva percorrere un tappeto di rose che l’avrebbe portata trionfalmente all’Eliseo. Pur riuscendo ad arrivare al ballottaggio contro Emmanuel Macron, la leader del Front National si è schiantata contro la realtà, fatta di un confronto finale disastroso e della opportuna resipiscenza dei francesi, che hanno detto molto chiaramente che loro, ad ampia maggioranza, di privarsi dell’euro non avevano intenzione alcuna e che non si sarebbero bevuti (a differenza degli italiani, pare) purissime stronzate come quella sulla doppia moneta.

Dopo la sconfitta è iniziato il rosario doloroso: la nipote di Marine, Marion Maréchal-Le Pen, iconica quanto e forse più della zia, si è ritirata -per ora- a vita privata, il partito è entrato in fibrillazione, il numero due Florian Philippot, architetto dell’uscita dall’euro, è uscito, alle elezioni politiche sono arrivati otto miseri seggi. Oggi Marine Le Pen attende il congresso di “rifondazione” di marzo, che tuttavia potrebbe esserle fatale.

Centrale risulterà la ridefinizione delle linee strategiche del partito, che sta rafforzando i temi identitari e nativisti, quindi anti immigrazione ed anti-Islam, mentre il tema dell’uscita dall’euro è stato tranquillamente accantonato, come segnala anche il vice presidente del FN, Nicolas Bay, che aggiunge che il Front National non è più “anti-europeo ma alt-europeo” (sic). Questo tema di “un’altra Ue è possibile”, visto da destra segna il riposizionamento anche dei sovranisti di casa nostra, in caso non aveste notato. Sarà perché i nostri eroi hanno realizzato che uscire dalla Ue, per chi ha l’euro, equivale ovviamente ad uscire anche dalla moneta unica e che questa operazione sarebbe devastante; sarà perché la realtà ha bussato alla porta, minacciando al solito di sfondarla a calci, ma resta il fatto che la nostra ossimorica “Internazionale nazionalista” sta cercando disperatamente di evitare di farsi arrivare in testa un meteorite.

In questa audace teorizzazione alternativa, che tuttavia potrebbe avere successo, almeno nel breve termine, ci sono tuttavia enormi ed irrisolvibili contraddizioni. Intanto, è del tutto lecito e legittimo tentare di cambiare la Ue dall’interno, ci mancherebbe. Lecito anche usare la retorica un po’ cialtrona del “diamo alla Ue un’ultima possibilità di cambiamento”, come se la Ue fosse entità astratta e non il punto di caduta e compromesso di interessi nazionali. Resta il problema di fondo: in Europa siamo condannati alla cooperazione, e questo vuol dire ricerca di alleanze.

Anche per questo, i nostri eroi sovranisti stanno guardando con vivo interesse al “gruppo di Visegrad”, cioè ai quattro paesi dell’Est (Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Polonia) entrati in rotta di collisione con la Commissione Ue sul tema della immigrazione ma anche (nel caso di Polonia ed Ungheria) sul rapporto tra poteri dello stato, con un esecutivo che ambisce a controllare il giudiziario in modi considerati incompatibili con i precetti di democrazia liberale à la Montesquieu che informano la Ue. Al gruppo di Visegrad si è di fatto aggiunta l’Austria, con l’ascesa al premierato del giovane Sebastian Kurz, che ha imbarcato l’estrema destra del partito liberale che fu di Joerg Haider.

Tutto molto bello, per carità. Ma i problemi di alleanze, per i nostri sovranisti, sorgeranno se e quando arriveranno al potere e si troveranno a negoziare con i loro “confratelli” nazionalisti. Un esempio? Pensate al ciclo di bilancio della Ue, che inizierà nel 2021, ed i cui negoziati partiranno di fatto quest’anno. Con la Brexit, i Ventisette dovranno prendersi in carico e ripartirsi la quota del Regno Unito. Dal 2021 ci sarà quindi da colmare un buco di almeno 10 miliardi di euro annui, nell’ipotesi di mantenimento delle funzioni del budget comunitario entro l’attuale perimetro e non si decida, invece, di introdurre nuove funzioni, magari propedeutiche ad una più stretta integrazione, che potrebbe portare alla creazione di un ministero delle Finanze europeo.

Come che sia, qui il conflitto non sarà tra sovranisti e globalisti ma tra i paesi contributori netti al bilancio della Ue e quelli prenditori netti. Tra i primi ci sono, tra gli altri, Italia, Francia, Germania. Tra i secondi, quelli dell’Est europeo. Del tutto evidente che gli interessi nazionali saranno alla base della divaricazione degli obiettivi strategici, anche se ai rispettivi governi vi fossero leader “nazionalisti”. I paesi dell’Est Europa, così sprezzanti verso Bruxelles e l’attuale sistema cooperativo, sono tuttavia enormi beneficiari dei fondi comunitari. Come si conciliano le due posizioni? E come si concilia il desiderio del gruppo di Visegrad di continuare a suggere dalla mammella Ue con i proclami dei nostri sovranisti, che hanno passato gli ultimi anni a menarla col fatto che “se avessimo trattenuto la nostra quota di contributi Ue ora staremmo molto meglio”?

Molto semplice, non si conciliano né potranno farlo. L’Europa è condannata alla cooperazione. Una cooperazione faticosa, lenta, destinata a causare insofferenze e strumentalizzazioni populistiche. Ma il populismo si nutre di proiettili d’argento, di soluzioni semplici a problemi complessi. Che, per definizione, non sono soluzioni ma sogni a buon mercato spacciati quotidianamente ai gonzi elettori. La ex premier polacca, Beata Szydlo, prima di essere silurata dal padre padrone Jaroslaw Kaczynski, era arrivata a teorizzare una sorta di “clausola di preminenza nazionale”, sulle norme europee. In pratica, un’Europa à la carte, dove ogni paese aderisce solo alle norme che gli risultano vantaggiose.

Ora, senza voler sopravvalutare l’acume politico di questa sconosciuta signora, pensate che mondo meraviglioso sarebbe: prendo solo quello che mi serve. Niente immigrazione redistribuita (ma qui qualche ragione il gruppo di Visegrad ce l’ha), ma solo emigrazione mediante Bolkestein, ad uso e consumo dell’idraulico polacco e dei suoi fratelli. Ricorda molto il manifesto di battaglia dei nostri agricoltori ed allevatori: chilometro zero in casa, denominazioni protette fuori casa. Un mondo meraviglioso, fatto di monadi egoiste. Che ovviamente produce esiti catastrofici, di tipo protezionistico.

Ma questi sono dettagli, per l’irresistibile ascesa dei populisti. Una tecnica di marketing elettorale e politico, che a contatto con la realtà si squaglierà come neve al sole. Non è un caso che il M5S, col suo candidato premier, Luigi Di Maio, stia arrampicandosi sugli specchi con la storia del referendum sull’euro, e che Salvini dica cose simili, quando afferma che bisogna cambiare dall’interno la Ue, altrimenti si penserà alla “uscita di sicurezza”. Certo, certo.

Nel mezzo, verrà creata qualche “carriera” politica, in attesa della disillusione. Sullo sfondo, qualche lepre marzolina che da molti anni studia come “liberare” il popolo, e che si è creata a sua volta una nicchietta di mercato per il proprio ego stressato, dopo lunghi anni passati al conservatorio suonando la lira. Più che una nicchia, un loculo. Parce sepulto.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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