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France Relance: ecco il piano Macron

Mentre gli italiani stanno ancora discutendo su come spendere il biglietto vincente della lotteria che la pandemia avrebbe regalato loro (notare il condizionale), sotto forma di prestiti e sovvenzioni europee, la Francia nei giorni scorsi ha presentato France Relance, il proprio piano di resilienza e rilancio, con l’abituale solennità transalpina ma con misure piuttosto sobrie, almeno se poste a confronto con le mirabilie di cui l’Italia fantastica da mesi. Vediamo dunque il piano Macron nelle sue grandi linee.

Intanto, l’orizzonte temporale: il 2030. Come punto d’arrivo anche se, secondo Parigi, i benefici si vedranno già dal 2022, in termini di recupero di occupazione. Ed anche di esborso dei cento miliardi di budget, di cui 40 di sovvenzioni europee. Se leggete il francese, date un’occhiata alla pagina di presentazione a cura del governo. Troverete enfasi e temi comuni un po’ a tutti i paesi coinvolti in questa operazione di “rigenerazione”. Marketing politico, certamente, ma serve anche consapevolezza che sbagliare questo giro di carte rischia di porre un’ipoteca molto seria sul futuro di una nazione.

Prendete questo passaggio:

Il piano di rilancio permette di liberare le energie della Nazione per riconnettersi alla crescita. Per fare ciò, il governo prevede uno “shock di semplificazione” al fine di facilitarne l’ottenimento. Il rilancio prenderà vita nell’ambito dei territori e darà alla luce una società del vivere meglio: più resistente, più solidale, più indipendente, secondo le aspirazioni dei francesi.

Niente da dire: quando si tratta di fare retorica aulica, i francesi restano indiscussi maestri sul globo terracqueo. Si noti la presenza dei concetti chiave di semplificazioneresilienza e decentramento, ormai parte integrante del manuale del bravo comunicatore politico.

Il piano consta di tre macro-aree: ecologia, competitività, coesione sociale. E anche queste sono conformi alle grandi direttrici strategiche elaborate in sede Ue, o forse è viceversa. Analizziamo quindi le voci di spesa dei tre ambiti. Riguardo all’ecologia, a cui andranno 30 miliardi di euro, 6,7 serviranno al rinnovamento energetico degli edifici privati e pubblici, soprattutto cappotti termici. Altri 1,2 miliardi alla decarbonizzazione industriale; altrettanti a progetti di mobilità, in particolare biciclette e trasporti collettivi. Ben 4,7 miliardi saranno destinati al sostegno al trasporto ferroviario, persone e merci.

Ben 7 miliardi andranno alla scommessa sull’idrogeno, in raccordo con le iniziative europee, che i francesi intendono spingere; non è chiaro se perché ritengano di avere un vantaggio competitivo nello sviluppo, in modo da primeggiare su scala continentale, o perché l’idrogeno suscita suggestioni di energia pulita in modo definitivo.

Segue il capitolo della competitività, che prevede spese per 40 miliardi di euro. Tra esse, ben 20 miliardi andranno ad una riduzione fiscale sulla produzione, in due aree: valore aggiunto e immobili strumentali. In pratica, per dirla all’italiana, meno Imu sulle imprese e meno imposte sulla creazione di valore aggiunto, allineandosi ai valori tedeschi. Mi pare razionale.

Tre miliardi andranno ad irrobustire il capitale proprio delle imprese, reso esausto dalle perdite del periodo di lockdown. Saranno creati strumenti di partecipazione di lungo termine, assistiti da garanzia pubblica e tali da essere considerati capitale o quasi-capitale. Una sorta di debito ibrido, in pratica.

Undici miliardi andranno alla quarta edizione del PIA, programma d’investimento dell’avvenire (denominazione molto francese), dentro il quale ci sta un po’ di tutto: digitale, biomedicale, “sovranità alimentare”, città del futuro, energie decarbonizzate, istruzione superiore. Questo programma, preesistente al Recovery Plan, rappresenta il nucleo centrale della programmazione innovativa degli investimenti francesi.

Il capitolo della coesione prevede un esborso totale di 30 miliardi, di cui 6 per la sanità, inclusa la modernizzazione degli edifici e la digitalizzazione delle strutture, 1,6 per la formazione qualificante dei giovani nei settori strategici. C’è anche un aiuto molto “italiano”, vale a dire un sussidio di 4.000 euro rapportato ad anno, per assunzioni di giovani sotto i 26 anni, con qualsiasi forma contrattuale, incluso il tempo determinato, effettuate sino al prossimo 31 gennaio. Fiato cortissimo, mi pare. Sussidi sempre per un anno per assunzioni in regime di apprendistato: 5.000 euro per i minorenni, 8.000 per i maggiorenni. Evidentemente, non si inventa più nulla o quasi.

Perché vi ho fatto questa pedante e tutt’altro che esaustiva enumerazione delle misure previste dal governo francese? In primo luogo, perché si tratta di un programma di spesa pubblica con utilizzo dei fondi europei, quindi potrebbe essere uno schema a cui guardare, ovviamente entro le specificità nazionali. Poi, perché si notano misure molto tradizionali, nel senso che ci sono practices, non so quanto best, che tendono a ricorrere un po’ ovunque.

Quale è il punto dirimente tra una enumerazione di più o meno buone intenzioni di spesa ed il loro realizzo efficace ed efficiente? Una intendenza che segua, come avrebbe detto un illustre francese di un paio di secoli addietro (pardon, era corso, non francese). Se l’intendenza, nel senso di pubblica amministrazione, non segue, anche il miglior programma diventa un libro dei sogni e degli sprechi. Non vorrei essere disfattista ma mettere a confronto la PA francese e quella italiana tende ad essere deprimente per noi cisalpini.

Qualche considerazione sull’aspetto delle riduzioni d’imposta, presenti in France Relance. Già sento voci, vocine e vocione italiane levarsi e protestare: “ma come, loro possono ridurre le tasse col piano europeo e noi no? Eh? Eh?”. Buon punto. Allora diciamola meglio: nulla vieta riduzioni d’imposta nel programma nazionale di ripresa e resilienza (PNRR, si chiama proprio così); l’importante è che l’approccio sia “sobrio”.

Nel senso che è preferibile usare la leva fiscale dal lato dell’offerta, cioè della riduzione degli oneri di sistema per le imprese, in modo da favorirne insediamento e permanenza. In questo senso è altamente probabile, trattandosi di misura vagamente analoga, che la proposta italiana di taglio del cuneo fiscale aziendale nelle regioni meridionali (più Umbria) venga accolta dalla Commissione, anche se da parte di Bruxelles sarebbe meglio legarla in modo tignoso al programma di investimenti infrastrutturali nelle aree che ne sono prive.

Per quanto invece riguarda la nostra ipotetica riforma Irpef, penso sarebbe manifestazione di serietà nazionale autofinanziarla mediante soppressione di tax expenditures e sussidi vari. Sarebbe un modo per dimostrare che possiamo riformare il nostro fisco senza usare le tasse degli altri contribuenti europei.

 

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