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Fascismo, socialismo e realtà contemporanea

La politica economica dell’Italia degli ultimi 90 anni è stata sempre la stessa....

I principi sottesi alla politica economica del fascismo italiano vengono spesso ignorati o banalizzati, perché gran parte di questi si riscontrano nelle economie del mondo di oggi. Si considerino solo alcuni dei fattori caratterizzanti l’economia fascista: la pianificazione centrale, i rilevanti sussidi statali, il protezionismo (tariffe consistenti), gli avanzati livelli di nazionalizzazione, il clientelismo dilagante, gli ampi deficit, una spesa pubblica elevata, i salvataggi pubblici di banche e di industrie, una burocrazia elefantiaca, i programmi assistenziali di massa, uno schiacciante debito nazionale, le fiammate inflazionistiche e “una integrata struttura economica nazionale altamente regolamentata”.

Mussolini seguì l’esempio di Lenin e procedette a stabilire un modello economico integralmente guidato dallo Stato anche in Italia. In buona sostanza, il fascismo di Mussolini era semplicemente una emulazione della “terza via” proposta da Lenin, un ibrido inteso a combinare alcuni meccanismi tipici del mercato e il socialismo: un qualcosa di molto simile al “socialismo di mercato” della Cina Rossa.

È interessante notare che Mussolini trovò molti principi espressi dalle teorie economiche di John Maynard Keynes coerenti con il fascismo, affermando: <<il fascismo concorda interamente con il signor Maynard Keynes, nonostante la sua prominente figura venga associata a quella di un liberale. Di fatto, il suo eccellente “The End of Laissez-Faire” (1926) potrebbe, nel complesso, servire come un’utile introduzione all’economia fascista. In esso, vi è ben poco da eccepire e molto a cui applaudire>>.

Il cuore della filosofia keynesiana è che ciò che guida l’economia è la domanda di beni. Le recessioni economiche sono principalmente il risultato di una domanda insufficiente. Nel quadro keynesiano, un aumento della domanda non solo eleva la produzione complessiva, ma aumenta la produzione di un multiplo dell’aumento iniziale della domanda.
Invece nel mondo reale, un aumento artificiale della domanda che non è supportato dalla produzione porta alla diluizione del risparmio reale e, contrariamente all’opinione keynesiana, ad un restringimento del flusso di ricchezza reale, cioè all’impoverimento economico.

La tesi di Keynes riscosse il maggior successo per diversi motivi: da un punto di vista retorico, aveva il vantaggio di offrire una rapida ricetta contro la disoccupazione basata sulla spesa in deficit, mentre la politica non interventista consigliata dagli austriaci richiedeva tempo per dare risultati; in secondo luogo, Keynes offriva alla classe politica proprio quello che da tempo cercava: una giustificazione apparentemente scientifica del loro inappagabile desiderio di spendere e ampliare il proprio potere; in terzo luogo, offriva agli economisti e agli accademici un ruolo importante come pianificatori ed ingegneri sociali

In buona sostanza, l’economia del fascismo italiano può ben essere qualificata come socialista ed ispirata ai principi del sindacalismo, oltre che alquanto più affine alla sinistra socialista rispetto alla politica economica intrapresa oggigiorno da molti paesi occidentali, i quali abbracciano un’economia mista di socialismo, assistenzialismo e sindacalismo. 

Ora, sarebbe assai opportuno se solo gli economisti e gli storici cominciassero a riconoscere, ancorché tardivamente, questi fatti!

 

 

 

 

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