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Family Day: ovvero come manifestare ogni giorno contro i diritti degli altri

Almeno un paio di preoccupanti spettri ci dicono aggirarsi per lo stivale: da un lato le unioni civili promesse dal governo Renzi che, sembrerebbe, potrebbero finalmente diventare realtà (per quanto non la migliore possibile) dall'altro la “teoria del gender”, che invece non esiste affatto ma che si sente da più parti invocata come origine di tutti i mali, compresi tsunami e peste bubbonica.

Contro questi due pericolosissimi attacchi a, che so, magari alla civiltà, sfileranno (l'articolo è stato pubblicato ieri, ndr) sabato 20 giugno a Roma gli attivisti no choice (quelli che si vorrebbero autodefinire pro life, come se chi non fosse d'accordo con loro avesse la smania del necroforo serial killer).

Sotto lo slogan “Difendiamo i nostri figli”, dai neocatecumenali al fresco di costituzione gruppo teocon dei "parlamentari della famiglia", da "Manif pour tous" alle "Sentinelle in piedi", dagli Evangelici al "Movimento per la vita": la crème de la crème dell'integralismo cattolico è insomma chiamata a raccolta. Alle armi? Beh, secondo un pregevole blogger della testata cattolica Tempi, quasi. Perché, “Quando c’è un’aggressione (male e ingiustizia che minaccia i bambini n.d.r.), prima di tutto si risponde all’aggressione, in nome del buon diritto degli aggrediti. Poi si dialoga e si educa”. Grazie, ben gentile.

Family day “apartitico e aconfessionale”, viene definito dai promotori, “iniziativa laica partita dal basso”. Laica nel senso strettamente canonico del termine: senza abito vescovile, almeno in apparenza. Perché, checché se ne dica la partecipazione, più che fattiva dietro le quinte, della Cei è simile a quella del Family Day contro i Dico di rosibindiana memoria del 2007, così come è simile la mobilitazione capillare parrocchia per parrocchia.

D'altronde, lo stesso Vicariato di Roma (che non è tra i promotori ufficiali dell'iniziativa, ma la appoggia, come scrive) ha esortato alla partecipazione, tra gli altri, tutti gli insegnanti di religione. Quelli scelti dal vescovo ma pagati dallo Stato.

E, giusto per consolarsi, nella nostra scuola pubblica esistono non solo insegnanti, ma anche dirigenti (i presidi di una volta) che scrivono, accorati, direttamente e ufficialmente con circolare ai genitori dei propri alunni per propagandare siti internet del comitato organizzatore e copia-incollando bufale virali dai toni apocalittici , volti a suggerire una vigile allerta contro l'”emendamento gender”.

Sarebbe a dire, nell'italico contesto, il solo comma 12 dell'articolo 2 del per ben altri motivi contestatissimo Ddl Istruzione ancora in fase di approvazione, che semplicemente promuove presso docenti, studenti e genitori l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni. Dalla lotta al bullismo alle orge il passo, loro, lo vedono breve.

Sono giorni, in effetti, che si prosegue senza esclusioni di colpi e di colpe: da finti documenti costruiti ad hoc, a teorie del complotto di varia natura a proclami sul confine tra allarmismo e paranoia patologica.

E una bufala, un'invenzione di sana pianta, è proprio, per cominciare, l' inesistente teoria gender, “espressione di frustrazione”, per Bergoglio, espressione mistificatoria in realtà che mira a distorcere verso posizioni omofobe e sessiste qualsivoglia “studio di genere”, cosa ben diversa (a cominciare dal fatto che, a differenza dell'ideologia gender, gli studi di genere esistono eccome. E no, non prevedono la masturbazione obbligatoria né la pornografia in classe).

D'altronde è talmente maturo il dibattito che c'è persino chi, etero cattolico apostolico romano (e sottomesso) minaccia per ripicca di divorziare se dovessero essere approvate le unioni civili. A parte il primo spontaneo e gorgogliante chissenefrega, vien da pensare al grado di perversione mentale necessaria per, fosse pure per boutade, rinunciare al proprio vincolo matrimoniale caso mai qualcosa di simile possa essere a tutela di qualcun altro. Come il bambino che taglia le corde all'altalena per non farci salire nessuno. E il primo a rimetterci è, ovviamente, lui.

Estendere un diritto equivale ipso facto a rinforzarlo, per tutti. Oltre ad un' umana esigenza di equità e giustizia (terrena, questo sì), c'è anche perché no l'egoismo a portarci ad essere a favore del matrimonio omosessuale, anche se omosessuali non siamo, così come dovrebbe convincerci a combattere il bullismo e la discriminazione fra i banchi anche se scuola l'abbiamo lasciata da un pezzo. Perché la tutela della dignità, del diritto all'autodeterminazione di sessualità e affetti non ha, guarda caso, né sesso né genere. È, e resta, universale. E non consuma nessun diritto, non lede alcuna posizione particolare, ma anzi è tanto forte quanto, appunto, individuale nell'attribuzione, universale nella concessione.

Ma continuiamo così, a farci (fare) del male. Con una legittima preoccupazione: i nostri figli da questa ondata di omofobo razzismo clericoparanoide sarà davvero difficile difenderli.

 

Foto: Angelo/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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