• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Cultura > Essere un altro #17 - finale

Essere un altro #17 - finale

Ultimo capitolo del romanzo sulla fragilità dell'identità nell'era di Internet: Essere Un Altro.
Scritto da Osvaldo Duilio Rossi, dai consigli di Mario Pica.

 

Ora fai un bel respiro e pensaci. Il fatto che tu mi abbia permesso di entrare in contatto con te e il fatto che adesso ti ritrovi un po’ nella stessa situazione di Arnaldi, con me che parlo e tu che ascolti tutto quello che dico, fino in fondo, prova che questa storia è verosimile. Prova che è ragionevole pensare che la nostra identità possa finire in mano a chiunque e prova che non serve a niente seguire il vecchio consiglio della nonna di non accettare caramelle dagli sconosciuti e di non aprire la porta prima di avere chiesto chi è. Perché, in tanti modi diversi – dal semplice acquisto di un paio di scarpe o di un libro in un negozio, fino scaricare un documento da Internet e a votare alle elezioni – abbiamo rinunciato a proteggere la nostra riservatezza, il nostro conto in banca, il controllo della nostra vita, del lavoro che vogliamo fare e, insomma, la nostra dignità individuale.

L’unico modo che abbiamo per uscirne è cambiare identità, perderci, perdere ogni senso, ma farlo veramente, non nel mondo elettronico degli schermi piatti, ma nel mondo reale. Sparire da ogni archivio e riapparire sotto mentite spoglie, ma con un corpo vero, e interagire con chiunque in qualsiasi modo, anche a caso, e senza scopo. È per questo che tu non conosci il mio nome, ma che io so chi sei e dove vivi e come hai vissuto negli ultimi tre anni. E tu non andrai a denunciare che ti sono entrato in casa col raggiro e con l’astuzia allo scopo di minacciarti per portarti via ogni documento, i certificati di proprietà, le dichiarazioni dei redditi, i contratti di finanziamento, i codici bancari, le chiavi di casa e quelle per accedere ai servizi on-line… Non lo farai perché altrimenti tornerò o tornerà qualcun altro al mio posto per violentarti o ucciderti… e solo se ti trasformerai, solo sparendo, solo se cambierai nome e se diventerai più spaventoso di me potrai salvarti. Sono qui per renderti impossibile muoverti nel mondo col tuo vero nome, con la tua identità attuale. Sono qui per costringerti a ricominciare da zero perché l’intera società ha bisogno di ricominciare e sarà possibile riuscirci solo lavorando sistematicamente, individuo per individuo.

Non è per i soldi, che servono solo a mantenersi in vita. Gli ebrei sono famosi per essere attaccati ai soldi, per avere fondato la loro società e le loro comunità sulla moltiplicazione del denaro, sull’assicurazione del denaro per ogni singolo ebreo del pianeta… e guarda se alla fine possono dire di essere felici: perseguitati ovunque siano andati, odiati, immolati come capri espiatori, sterminati, combattuti, pieni di rancore per quello che hanno dovuto sopportare dal tempo dei faraoni a oggi. I soldi non gli hanno portato nulla, se non rabbia e altri soldi.

I più sfacciati criminali, mafiosi, truffatori e malavitosi invece vivono spesso sulla soglia dell’indigenza, rintanati in covi fetidi o isolati in borgate decrepite, come se non avessero il becco di un quattrino, come se tutte le atrocità commesse non servissero in alcun modo a migliorare la loro posizione. Non si fa per il lusso. E non si fa neanche perché mancano altri modi per rimediare il denaro. Si fa sfidando tutti e tutto, superando ogni limite, ogni decenza, consapevoli di essere in grado di passare davanti a tutte le regole, davanti a ogni uomo, terrorizzando la società che ha sempre provato a terrorizzarti per atterrirti e per mantenerti schiavo, per toglierti ogni libertà, anche quella di camminare. Banditi, politici, sequestratori, rapinatori a mano armata, stupratori… agiscono tutti senza scrupoli: nessun limite alle cose che fanno e nessun limite a quante volte le fanno perché non c’è azione capace di placare la sete di prevaricare le regole e di sovvertire l’ordine. Chi si ferma è perduto e morto… Il caos, se non viene alimentato in continuazione, si riordina presto e permette alle regole di ristabilirsi… e la regola fondamentale è che si muore. Il senso della vita è la morte. È in questo senso che va la vita: verso la morte. Tutti viviamo sicuramente per morire: non per lavorare, non per guadagnare né per ottenere alcunché, ma per morire, che è l’unico destino allo stesso tempo comune e individuale. Vivere per morire è l’unica risposta al senso di ciascun individuo sul pianeta, l’unica cosa che ciascuno può fare per se stesso e che, anzi, neanche deve sforzarsi di fare. Vivere solo per imparare a morire, per non tentare di scappare quando accade. Il giorno che saremo tutti morti sarà perfezionato il destino del genere umano.

Prima odiavo gli ebrei, senza alcuna consapevolezza, guidato da un istinto cieco e stupido… Adesso odio tutti… tutti i moribondi che non vengono perseguitati da nessuno, ma che ciononostante agonizzano di noia e mediocrità… in tutto il mondo… li ho trovati ovunque sia andato. Gli ebrei mi hanno rivelato la natura di questo odio, di cui prima ero ignaro – e gliene sono riconoscente –, e mi hanno suggerito la via del caos, della diaspora per il mondo intero. Arnaldi mi ha insegnato a trasformare un’aggressione in un contrattacco, trasformando la paura in un’arma, la mia paura nella tua.

Se tentiamo di fuggire dalla morte è solo per avidità o per speranza: da una parte l’avidità di conservare ogni singola cosa, invece che liberarsene; d’altra parte la speranza che possa capitare qualcosa di meraviglioso e sconvolgente.

Faccio questa vita per liberarmi… per sconfiggere la morte o almeno la paura che mi fa.

Questa vita è una terapia. E tu sei la mia cura.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità