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Ergastolo. "Fine pena: ora" di Elvio Fassone letto dal carcere

Recensione di un ergastolano al libro “Fine pena: ora” di Elvio Fassone. 

Mi arrivarono calci e pugni sulla testa e sulla schiena. Mi rannicchiai a terra ridendo e urlando. Ero un buon incassatore perché fin da bambino la mia famiglia mi aveva abituato e allenato a prenderle in silenzio. 

(Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com)

 

I libri sono stati sempre la mia luce in tutti questi anni di buio e mi hanno anche aiutato a continuare a lottare e a stare al mondo, perché, come scrive Elvio Fassone, ex magistrato e componente del Consiglio della Magistratura e Senatore della Repubblica, nel suo libro “Fine pena: ora” (Sellerio Editore) “Certe volte una pagina, una frase, una parola smuove delle pietre pesanti sul nostro scantinato”.

Sono stato subito preso dalla lettura di questo libro perché, a parte l’argomento, conosco molto bene il protagonista del racconto dell’autore.

Con “Salvatore” (nome di fantasia con cui preferisce essere chiamato il mio compagno ergastolano in questo libro) ci eravamo incontrati nei primi anni novanta, quando tutte e due eravamo sottoposti al regime del carcere duro a Cuneo. Io ero stato appoggiato in quell’istituto provvisoriamente per motivi di giustizia. Venivo dal carcere dell’Asinara. Avevo appena subito uno dei tanti pestaggi che a quel tempo i detenuti imputati per criminalità organizzata dovevano affrontare da chi li voleva così convincere a diventare collaboratori di giustizia. Per l’appunto la storia carceraria ci dice che dal carcere dell’Asinara e da quello di Pianosa sia uscito il gruppo più consistente di collaboratori di giustizia di quel periodo.

Salvatore mi aveva dato subito la sua solidarietà, come si usa fra i paesani, e diventammo subito amici. Si era confidato con me di questa strana corrispondenza che aveva con un magistrato. E adesso, sinceramente, sono rimasto sorpreso di leggerla in un libro. Mi ha molto colpito la sensibilità e l’umanità dello scrittore, che ha espresso concetti profondi come “Non sono senza legge, né senza morale: hanno un codice più rigoroso del nostro, una morale centrata su un onore severo e contorto, una capacità di soffrire che sarebbe bello definire stoico se non fosse folle. (…)

Anche nell’arido mondo del diritto, accadono i miracoli. (…) Se è vero che anche la pena può dare frutto, ebbene se il frutto è davvero maturo, è tempo di coglierlo altrimenti marcisce. (…)

Sollecitare una decisione umanitaria nei confronti di quei detenuti che sono in carcere da molti anni, sono profondamente cambiati, e non trovano chi constati questo cambiamento e li restituisca alla vita (…). Manca una letteratura in senso proprio che racconti, con la capacità evocativa che è sua, il vissuto quotidiano della detenzione.

 Anch’io da quando ho letto questa frase scritta tra le mura di un lager nazista “Sono stato qui e nessuno lo saprà mai”, da un quarto di secolo, non faccio altro che scrivere e rompere le scatole a mezzo mondo per far conoscere l’inferno che i “buoni” hanno creato e mal governano. Anch’io sono fortemente convinto che in Italia la giustizia e le prigioni siano quelle che sono anche perché, a differenza di altri Paesi, nel nostro manca una letteratura sociale carceraria. E, come sappiamo, la letteratura è l’anima di un Paese.

Io nel mio piccolo mi sto sforzando di crearne una perché ho tanti manoscritti sotto la mia branda, prigionieri insieme a me. E spero un giorno di liberare almeno loro, ma non è facile, soprattutto per un ergastolano, pubblicare in Italia. E mi ritengo già fortunato che sono riuscito a pubblicare qualcosa. Purtroppo sono pochi gli editori che si sporcano le mani pubblicando i pensieri degli avanzi di galera come me. La stragrande maggioranza delle case editrici preferisce pubblicare le ricette di cucina, per guadagnare tanti soldi ed evitare critiche e guai.

Per questo voglio fare i complimenti anche a “Sellerio Editore” per avere avuto il coraggio di pubblicare “Fine pena: ora”. D’altronde, cosa rende umana una persona? La speranza. Non c’è però nulla da sperare in una pena che finisce nell’anno 9.999.

Un sorriso fra le sbarre.

 

Carmelo Musumeci
 
Padova, Marzo 2016
 
www.carmelomusumeci.com

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