Mi hanno colpito queste parole del Presidente della Repubblica Mattarella sul centenario della nascita di don Milani: “Mai far tacere libri”. Ed ho pensato subito alla grande differenza fra i diritti dichiarati e quelli applicati.
Quando ero sottoposto al regime di tortura del 41 bis, un giorno un insegnante in pensione mi scrisse e mi propose di riprendere gli studi. Gli risposi chiedendo come avrei potuto studiare se in quel regime e in quel carcere non potevo ricevere libri. Mi rispose di non trovare scuse, che mi avrebbe strappato pagine di libri e me le avrebbe mandate per lettera. E così iniziai a studiare, solo che avevo la censura e a volte mi bloccavano le lettere. Le difficoltà che trovai nello studiare da autodidatta e senza libri mi diedero la motivazione per uscire dalla depressione. Conseguii la terza media, mi diplomai ed in seguito mi laureai in Scienze Giuridiche, poi in Giurisprudenza e nel 2016 in Filosofia.
Un giorno lessi in un libro queste parole di Don Milani, che mi colpirono molto: “Siete proprio come vi vogliono i padroni: servi, chiusi e sottomessi. Se il padrone conosce 1000 parole e tu ne conosci solo 100 sei destinato ad essere sempre servo”.
Queste parole mi diedero l’energia e la forza di studiare e di non arrendermi nelle difficoltà che trovavo a istruirmi da solo e senza libri.
Prima l’ho fatto per rimanere umano, dopo per sopravvivere, alla fine per vivere. Studiare mi è costato anni di regimi duri, punitivi e d’isolamento. Spesso per ritorsione mi impedivano persino di avere quaderni o una penna per scrivere. E in certi casi mi lasciavano la penna ma mi levavano la carta, perché non c’è cosa peggiore per l’Istituzione carceraria di un prigioniero che studia, pensa, scrive e lotta. Perché inizi a conoscere i tuoi diritti e a chiederli, inizi a fare istanze al magistrato di sorveglianza. E così inizi a diventare un detenuto ingombrante, come è capitato a me!
Andavo dal direttore del carcere con l’ordinamento penitenziario e intuivo che lui mi guardava in modo ironico, come se volesse dire “Ma cosa vuole sto criminale ?!”
Ho scelto di laurearmi in “Scienze giuridiche”, “Giurisprudenza” per difendere me stesso e i miei compagni dall’ “Assassino dei Sogni”, il carcere come lo chiamo io.
Poi ho scelto di studiare “Filosofia” per cercare un po’ di libertà nella mia mente e nel mio cuore e per tentare di rispondere a me stesso “Chi sono, da dove vengo, dove vado.”
Signor Presidente della Repubblica, forse lei non sa che la Corte Costituzionale ha deciso di ritenere corretta la norma che consente all’amministrazione penitenziaria di vietare ai detenuti sottoposti al regime di tortura del 41 bis di ricevere libri e riviste dall’esterno. In questo modo, il “fine giustifica i mezzi” e, secondo loro, questo divieto consente di prevenire contatti del detenuto con l’organizzazione criminale di provenienza. A mio parere, però, con questa decisione hanno fatto un “favore” alla mafia, perché́ non hanno tenuto conto che i libri potrebbero aiutare a sconfiggere l’anti-cultura mafiosa.
Signor Presidente della Repubblica, credo che i giudici costituzionali la pensino in questo modo perché leggono poco: forse perché non hanno tempo. Io, invece, in 27 anni di carcere, ho letto moltissimo. Potrei affermare che sono sempre stato con un libro in mano. E sono convinto che senza libri non ce l’avrei potuta fare. Mi sono fatto la convinzione che noi siamo anche quello che leggiamo e, soprattutto, quello che non leggiamo. Penso che il carcere non dovrebbe avere paura di un detenuto che legge perché nei libri non ci sono dei nemici. Anzi, essi aiutano a frugare meglio dentro se stessi. I libri sono stati la mia luce in tanti anni di buio, mi hanno anche aiutato a continuare a lottare e a stare al mondo perché, come scrive Elvio Fassone (ex magistrato e componente del Consiglio della magistratura, oltre che Senatore della Repubblica), nel suo libro Fine pena ora: “Certe volte una pagina, una frase, una parola smuove delle pietre pesanti sul nostro scantinato”.
Penso che ci dovrebbe essere una buona legge per «condannare» i detenuti a leggere libri.