Erdoğan come Salvini: Dio-Patria-Famiglia
Venti voti cercano Recep Tayyip Erdoğan, il suo partito e gli alleati nazionalisti per indire un referendum popolare su alcuni emendamenti alla Costituzione. Ma non l’avevano creata a immagine del presidente appena sei anni addietro? Certo, ma non gli basta ancora.
Stavolta i ritocchi non riguardano l’apparato istituzionale e securitario, bensì quello dei diritti, fra questi la possibilità per le donne d’indossare il velo in ogni spazio pubblico e privato. Fino a un tratto della presenza al governo dell’Akp, attorno al 2010, vigevano le restrizioni kemaliste sull’interdizione dell’hijab in taluni luoghi e per certi incarichi. Tanto che nel 2013 si era registrata una corposa abolizione di tale divieto. Ora la maggioranza vuole rivedere le ultime limitazioni a quella che un decennio fa era diventata una simbolica questione di appartenenza con cui tante giovani studentesse islamiche erano, ad esempio, coinvolte nella protesta contro il divieto d’indossare il velo nelle aule universitarie. Vinsero quella battaglia. Le leggi laiche subirono trasformazioni. Da alcuni mesi il partito di maggioranza sta proponendo un ulteriore ritocco normativo per appagare in maniera totale il desiderio femminile islamico di apparire velate ovunque, unendolo ad altre istanze relative al diritto di famiglia. Quest’ultime appaiono tutt’altro che liberali, al contrario se approvate daranno un duro colpo alle esigenze delle famiglie Lgbtq. Infatti si propone di definire famiglia solo l’unione fra un uomo e una donna, come in Italia vogliono la Lega di Salvini e il clero conservatore. Del resto in fatto d’integralismo la globalizzazione dei costumi fondamentalisti avvicina fedi e società spesso in contrapposizione. Nei giorni scorsi l’onnipresente presidente ha criticato due partiti d’opposizione: i repubblicani del Chp e i conservatori del partito İyi per aver rifiutato un incontro coi rappresentanti dell’Akp riguardo alla discussione parlamentare sui suddetti emendamenti. Una convergenza e un’amplissima maggioranza avrebbero risolto nella sede istituzionale la vicenda. Ma la volata delle elezioni elettoral-presidenziali del prossimo giugno, che di fatto è già partita, fa arroccare ogni gruppo dissidente al governo. E le chiusure sono ermetiche. Col proverbiale misto di foga e paternalismo Erdoğan è intervenuto criticando gli avversari: "Il nostro obiettivo è proteggere la famiglia come istituzione dai crescenti attacchi delle tendenze aberranti da parte delle forze globali e rafforzare i diritti delle donne" ha tuonato. Avrebbe potuto lasciare a colleghi di partito la reprimenda. Però la battaglia consultativa del centenario è una scadenza che gli sta talmente a cuore tanto da non tralasciare alcuna circostanza e nessun tema. Eppure nel blindatissimo Meclis controllato coi 290 onorevoli dello schieramento islamico e i 49+1 deputati del partito dei Lupi grigi di Baçheli suoi alleati, (340 seggi su 600), mancano una ventina di voti per poter portare a referendum popolare i desiderati emendamenti. La legge prevede che occorrono fra i 340 e i 400 voti. A caccia, dunque, di venti deputati in sintonia col tradizionalismo omofobo.
Enrico Campofreda
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