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Elezioni comunali a Torino: Brutto tempo per le note di colore

22 candidati di origine straniera si sono presentati alle elezioni amministrative per il comune di Torino e per le circoscrizioni. Nessun eletto. Da nessuna parte. Il meteo politico, per le donne e le minoranze nella prima capitale d'Italia prevede grigio e freddo ancora per un po'.

Gli ultimi giorni per la chiusura delle liste, a Torino, c'era una vera e propria caccia allo straniero. Come se tutti (parte dell'estrema destra compresa) si fossero accorti che ormai tra immigrati naturalizzati e cittadini comunitari il voto “straniero” alle amministrative potrebbe avere una rilevanza non trascurabile. E allora giù a cercare cittadini dai nomi e dalle facce diverse per “colorare” le liste. Una febbre che si calmò soltanto quando dagli uffici anagrafici del comune arrivò la notizia che dei più di 50.000 cittadini comunitari residenti nel capoluogo piemontese soltanto il 3% sono iscritti agli elenchi elettorali.
 
Nella caccia allo straniero, spesso, andava bene chiunque. Anzi, si è spesso puntato volutamente sui “chiunque”. Va bene la nota di colore, ma non mettiamoci adesso a mescolare le cose!
 
Rari sono i candidati “stranieri”, scelti per competenza, carisma o attivismo. La maggior parte, spesso cittadini romeni perché appartenenti alla fetta più grossa dell'elettorato “neo comunitario”, sono persone completamente sconosciute al pubblico torinese. Gente che non si è mai interessata di politica o di sociale, che ha sempre fatto gli affari propri e che improvvisamente è stata contagiata dalla febbre elettorale.
 
Una impiegata di un ufficio, dove una di queste persone è andata a ritirare un documento necessario per la sua candidatura, racconta che alla domanda sul nome della lista di appartenenza, la politicante in erba ha dovuto fare una telefonata, perché non si ricordava nemmeno il nome del partito. Un altro, al quale ho chiesto se non credeva che per essere eletto bisognava essere conosciuto, essere uscito un po', aver frequentato un po' di gente, aver attivato, fatto delle cose, partecipato a dibattiti pubblici... mi ha risposto che no, che lui è un professionista di alto livello, un onesto cittadino e una persona affidabile e che questo doveva bastare. Visibilmente il pubblico tutto ciò non lo sa. Ha preso 6 voti. Il suo, quello della moglie e forse le 4 uniche persone che conoscevano le sue qualità così ben nascoste.
 
Sulle 36 liste in gara si sono presentati 22 immigrati per il consiglio comunale e pochi di più per le circoscrizioni. Sparsi un po' su tutti gli schieramenti dalla federazione della sinistra fino alla destra di storace.
 
Alcuni ci hanno creduto sul serio e hanno speso piccoli patrimoni per stampare manifesti e volantini, organizzare cene e aperitivi. Si dice in giro che uno di questi poveri illusi abbia speso 10.000 euro per la campagna elettorale. Ha raccolto la bellezza di 90 voti. Poteva comprarseli a 100 euro l'uno e si sarebbe risparmiato fatica, fiato e mal di testa.
 
I risultati? Nessuno eletto! Niente! Né in comune e probabilmente nemmeno nelle circoscrizioni. Siamo un passo indietro rispetto alle precedenti amministrative dove alcuni “stranieri” erano riusciti a farsi eleggere almeno nei consigli di circoscrizione.
 
Ma quale lettura si può fare di questo fenomeno? Cos'è che fa che pur essendo il 13% della popolazione del comune, tra l'altro un 13% fatto in maggior parte di persone adulte, tra i 22 e i 55 anni, non riesce ad esprimere almeno un 1% della classe dirigente locale?
 
Ci sono principalmente due livelli di lettura, secondo me. Uno è da ricercare nella tradizione politico-partitica italiana, l'altro nell'approccio degli immigrati nei confronti della politica.
 
Il primo è il fatto che la politica tradizionale continua ad essere in Italia affare di pochi iniziati. Non si fa altro che parlare di rinnovo, di turnover, di giovani, di donne... ma alla fine girano le stesse facce. Di donne, amanti e mogli dei boss a parte, la classe dirigente italiana assomiglia decisamente più al governo talebano che ad un moderno stato occidentale del 21esimo secolo. I giovani non ne parliamo, tolto “Il trota” e altri figli di papà, la gerontocrazia regna da padrona assoluta. Il profilo largamente più diffuso nella dirigenza italiana è: vecchio, maschio, eterosessuale (o comunque dichiarato tale), cooptato per ragioni clientelari. Per entrare a far parte dell'elite i giovani e le donne non raccomandate/i devono essere per lo meno intelligente/i, carismatiche/ci, competente/i, saper parlare, avere le palle quadrate e fare 10.000 più sforzi di qualsiasi vecchio imbecille che gioca a briscola nel circolo giusto. Figuriamoci uno straniero!
 
Il secondo aspetto, però, è da cercare dalla parte degli immigrati stessi.
Migrare è nella maggior parte delle volte una decisione individuale e individualista. La persona che la prende, molto spesso, mette la riuscita economica, il successo prima di tutto. L'immigrato da quando il mondo è mondo ha due parole d'ordine lavorare e fare soldi. L'idea che ha della politica è pessima, nella maggior parte delle volte. Non crede nell'impegno, nelle lotte comuni; crede nelle soluzioni individuali.
 
Questo spiegherebbe, secondo molti sociologi delle migrazioni, il perché si fa fatica a mobilitare i migranti anche per lottare per i propri diritti. E anche il perché di solito l'immigrato “sistemato” va ad alimentare l'elettorato conservatore, chiuso alle diversità e ai nuovi arrivanti, che rischiano di rovinargli la festa.
 
Quindi, da questo profilo, si potrebbe dedurre che per molti (tra quei pochi) che si illudono di fare carriera politica, l'attrattiva principale della politica è: carriera, soldi e potere ottenuti il più velocemente possibile. Un serio indice di questo è il fatto che pochissimi tra i candidati autoproclamati portavoce dei migranti o di una qualche “comunità” si vedono in piazza quando c'è da lottare per i diritti di tutti. Sopratutto se si tratta di lottare per i diritti di quella specie di lebbrosi moderni che sono i senza documenti.
Il modello più gettonato tra i migranti è Berlusconi. Ci si candida alle elezioni come si gioca al grattaevinci.
 
Peccato che come al grattaevinci vincono sempre quelli che organizzano il gioco.

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