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Elezioni | La strategia del Cavaliere tornato pericoloso

I sondaggi (per quel che valgono) dipingono un Pd in caduta libera, un M5s in affanno che perde terreno ed una destra in ripresa, nella quale tutti tre i partiti aumentano per raggiungere un totale del 35%. Però segnalano anche un buon 34% di indecisi, “Non so e non risponde” che corrisponde a quell’area dal cui ventre potrebbe venir fuori un 10.15% di liste nuove o quasi. 

Comunque, la destra sta pericolosamente avvicinandosi alla soglia del 40% e meno male che nessuno è stato a sentire il M5s che, a dicembre, proponeva di abbassare al 35% la soglia per il premio di coalizione, nell’illusione di essere lui il beneficiario dell’innovazione (qualche mio amico dovrebbe andare a nascondersi e non parlare per almeno un anno, ma pazienza: i conti li facciamo tutti insieme alla fine).

Per fortuna i giochi non sono ancora fatti ed il Cavaliere faticherà molto a fare le ultime 5 miglia (sempre che confermi quel 35% promessogli dai sondaggi). Soprattutto ci sono ancora diversi ostacoli sulla sua strada:

1. non è affatto detto che l’accordo con Salvini poi si faccia davvero

2. se si votasse con la legge elettorale così come è, la lista unica lascerebbe per strada un buon 5-6%, dunque occorrerebbe modificare la legge elettorale reintroducendo le coalizioni

3. quel 34% di indecisi (o, se preferite, quel 40% di astenuti) può sconvolgere tutte le previsioni

4. mancano ancora diversi mesi alle elezioni (dai sei ai nove) e, se questo, non promette nulla di buono al Pd, non è detto che non riservi dispiaceri alche al centrodestra.

Detto questo, credo che convenga prendere in considerazione l’ipotesi che il recente attivismo del Cavaliere sta dando dei risultati e che il centro destra torni ad essere pericoloso, anche se resto dell’idea che difficilmente non prenderà il 40%. In primo luogo, anche se non superasse la soglia ma conquistasse la maggioranza relativa (poco imposta se con la lista unica o con la coalizione) questo brucerebbe le speranze del M5s spedendolo dritto all’opposizione, dopo di che, ottenuto l’incarico dal Presidente, lascerebbe al Pd l’alternativa fra l’astenersi e consentire l’insediamento del governo, oppure andare a nuove elezioni, nelle quali, forte della vittoria appena ottenuta, tentare il colpaccio ed arrivare alla soglia del 40%. Insomma sarebbe comunque in una situazione di forte favore, anche se, poi, governare nei prossimi due anni, non credo sia un affare per nessuno.

Ed allora, cerchiamo di capire come stia cercando di arrivare al risultato il Cavaliere.

In primo luogo Fi deve superare la Lega e, già ora sta riconquistando una centralità politica nello schieramento: al Cavaliere non è necessario vincere le elezioni, gli basta che non le vinca nessun altro, per potere giocare di sponda fra Lega e Pd facendo da Ghino di Tacco, la Lega, invece, ha solo la possibilità di allearsi al Cavaliere altrimenti è fuori dai giochi. Peraltro, dopo il disastro seguito all’era Renzi, quando Fi è scesa pericolosamente intorno al 10%, se anche dovesse tornare al 16% sarebbe comunque fra i “vincenti” e, se tornasse al 18% sarebbe un trionfo, soprattutto in confronto al risultato degli altri.

Quindi, prima di tutto rafforzare Fi in una elezione nella quale tornano, anche se solo in parte, le preferenze. Dunque, c’è da immaginarsi una campagna acquisti forsennata di gente capace di portare qualche voto alla lista, anche per questo, il Cavaliere non intende appesantirsi con quell’armata di pesi morti dei centristi che, messi tutti insieme, forse mettono insieme 100.000 voti. Ma allora perché li corteggia? Badate bene: li corteggia ma non li vuole in Forza Italia. Per ora ha ispirato la nascita di un apposito gruppo, una sorta di “bad list” in cui mettere tutte le “sofferenze elettorali”, per cui, se si fanno le coalizioni se li carica dentro essa come formazione autonoma, e fatti loro se fanno no il 3%. Se invece si dovesse fare una lista unica, potrebbe prendersene due o tre e buttare a mare il resto. Per ora, l’importante è evitare che vadano a rafforzare una lista di centro, magari alfaniana o simili. Intendiamoci: porterebbero pochi voti, come dicevamo, ma quando sei in lotta per prendere il 3% centomila voti sono una cifra che fa gola e poi, una sarabanda di nomi di parlamentari potrebbe dare agli elettori la sensazione di una forza elettorale che non c’è e distrarre qualche votarello in più. Dunque, per ora raccogliere con il cucchiaino i transfughi che bussano alla sua porta e tenerli in ghiacciaia in attesa di decidere cosa farne.

In secondo luogo, occuparsi della Lega. Decisive in questo senso sono le elezioni siciliane: se Fi dovesse vincere, in una regione dove la Lega non esiste e Fdi conta poco, coglierebbe un doppio risultato: da un lato accrediterebbe il suo disegno di vincere le politiche ai danni tanto del Pd quanto (e in questo caso soprattutto) del M5s, dall’altro dimostrerebbe che il centro destra vince quando è a trazione Fi, ridimensionando molto Salvini. Contemporaneamente, Fi lavora ad animare una corrente amica nella Lega, cioè, sostanzialmente, punta sul vecchio amico Umberto e su Maroni che ha bisogno del suo appoggio se vuole tornare da Presidente al Pirellone. E questo per far balenare agli occhi di Salvini il rischio di una scissione se facesse troppi capricci. Ed una Lega defalcata di un’ala, di fronte ad una Fi in rilancio, potrebbe poi essere ulteriormente assottigliata dalla tassa del “voto utile”, senza contare che, al loro posto, non farei tanto affidamento sulla lealtà di un alleato come la Meloni.

Poi la parte finale della manovra: presentare le elezioni come un referendum: Berlusconi o Grillo. Questo non tanto con lo scopo di indebolire il M5s, che, anzi, questo lo rafforzerebbe, ma con quello di stringere nell’angolo il Pd con il discorso del voto utile a battere gli orrendi populisti. Questo drenerebbe verso Fi il voto moderato che attualmente va al Pd.

Però tutto questo ha buone possibilità di realizzazione se si riforma la legge elettorale reintroducendo le coalizioni. Il problema è che lui ed i suoi alleati sono gli unici ad avere interesse a questa riforma. Certamente non il M5s che, si sa, non è disposto a coalizzarsi con nessuno. Ma anche il Pd renziano non ha alcun interesse reale: unici alleati –alternativi fra loro- possono essere Alfano o Pisapia e Bersani. Ma Bersani ed i suoi porterebbero si e no un 3% (più no che si) lasciando campo libero a Si, mentre Alfano, porterebbe, si e no, i voti dei parenti, anche perché sarebbe possibile una coalizione alternativa dei centristi con lo scopo di fare il 3% e poi giocare il ruolo di ago della bilancia. In ogni caso, non sono queste briciole che possono dare al Pd la speranza di battere la coalizione di centro destra che lo sovrasta di circa 10 punti. Inoltre, Renzi sa che il prezzo che gli “alleati” porrebbero sarebbe la sua testa, per cui è palese la sua ostilità, anche se, furbescamente, si trincera dietro un “la riforma si fa se ci sta anche il M5s” (quanta sensibilità democratica!). Le speranze del Cavaliere, che avrebbe ovviamente i voti di tutto il centro destra e di quasi tutti i centristi, sta nell’aiuto di Franceschini, Orlando e Pisapia (vi ricordate la battuta sulla madre dei cretini che…). Al Senato ce la può anche fare, ma alla Camera, dove il Pd, nel suo complesso ha una maggioranza nettissima ed il M5s dispone di un gruppo molto robusto, la vedo piuttosto difficile. Resta la strada scoscesa del listone unico della destra.

Dunque, manovra ancora acerba e giochi da fare, ma è bene che iniziamo ad attrezzarci all’idea che il Cavaliere è di nuovo in campo ed ha diverse carte da giocare.

Aldo Giannuli

Questo articolo è stato pubblicato qui

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