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Egitto, escalation della censura digitale: i siti bloccati sono oltre 60

Libertà di espressione | “Pubblichiamo quello che le autorità non vogliono che la gente legga”. Sono le parole di Lina Attallah, direttrice del portale indipendente d’informazione Mada Masr, tra i primi su cui si è abbattuta, il 24 maggio, la censura egiziana, seguito a ruota da Daily News EgyptElborsa e Masr al Arabia.

Da allora, i siti bloccati risultano almeno 63, 48 dei quali a contenuto informativo più altri cinque dai quali fino all’11 giugno si potevano scaricare applicazioni di messaggistica come VPN e TOR.

Le autorità egiziane non hanno chiarito quali attività illegali stessero svolgendo e non hanno fornito dettagli sulla base legale dei provvedimenti. In alcune interviste, funzionari del governo hanno fatto generico riferimento al “sostegno al terrorismo” e alla “pubblicazione di notizie false”. La stampa governativa ha riportato fonti d’intelligence che avevano giustificato i provvedimenti invocando il “contrasto al terrorismo” e accusando – senza fornire alcuna prova – il Qatar di sostenere alcuni dei portali bloccati.

Persino nei peggiori momenti della repressione ai tempi di Mubarak le autorità non erano arrivate fino al punto d’impedire l’accesso a tutti i portali informativi indipendenti.

Non è neanche chiaro se, per bloccare i siti siano state utilizzate le leggi ordinarie – che già prevedono la censura per motivi di sicurezza nazionale – o le disposizioni dello stato d’emergenza, dichiarato per tre mesi il 9 aprile a seguito degli attentati contro due chiese a Tanta ed Alessandria.

Lo stato d’emergenza conferisce al governo ampi poteri di sorveglianza e di censura. Il 10 aprile il presidente del parlamento, Ali Albel’al, ha annunciato che questi poteri avrebbero riguardato anche TwitterFacebook e YouTubepiattaforme usate a suo dire dai “terroristi” per comunicare tra loro e ha minacciato di procedimenti giudiziari gli autori di reati informatici.

Due dei siti bloccati, Daily News Egypt ed Elborsa, appartengono alla Business News Company, già munita di licenza governativa. Nel novembre 2016, tuttavia, il governo ha congelato i suoi patrimoni accusandola di legami con la Fratellanza musulmana, senza fornire alcuna prova. Da allora i 230 dipendenti non ricevono lo stipendio.

I rappresentanti di molti dei siti bloccati hanno presentato esposti al Sindacato dei giornalisti, al Consiglio nazionale della stampa, al ministro delle Comunicazioni e alla procura generale senza ricevere finora alcuna risposta. Mada Masr si è rivolto a un tribunale amministrativo ma il suo appello non è stato ancora preso in esame.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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