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Egitto, Tunisia e Algeria: non può esserci democrazia senza laicità

Dif­fi­ci­le allo sta­to at­tua­le az­zar­da­re un qua­dro sin­te­ti­co ed esau­sti­vo dei di­sor­di­ni in atto un po’ in tut­ta la re­gio­ne me­dio­rien­ta­le/ma­gre­bi­na e dei loro ri­fles­si in cam­po in­ter­na­zio­na­le.

Dal 2011 in Egit­to il po­te­re è pas­sa­to di mano per ben tre vol­te e in cor­ri­spon­den­za di ogni av­vi­cen­da­men­to al ver­ti­ce c’è sta­to an­che un av­vi­cen­da­men­to tra i ri­vol­to­si. Il re­gi­me di Ho­sni Mu­ba­rak si con­clu­se a se­gui­to del­le con­te­sta­zio­ni di piaz­za con le di­mis­sio­ni del pre­si­den­te e con nuo­ve ele­zio­ni de­mo­cra­ti­che. Il re­spon­so del­le urne pre­miò, nem­me­no tan­to sor­pren­den­te­men­te, il mo­vi­men­to isla­mi­sta dei Fra­tel­li Mu­sul­ma­ni rap­pre­sen­ta­to dal par­ti­to Li­ber­tà e Giu­sti­zia e dal suo lea­der Mo­ha­med Mor­si.

Dopo meno di due anni an­che la pre­si­den­za Mor­si è ter­mi­na­ta con la ri­vol­ta dei suoi op­po­si­to­ri, ma sta­vol­ta l’e­ser­ci­to è in­ter­ve­nu­to con­tro il pre­si­den­te e al po­sto del­le di­mis­sio­ni c’è sta­to l’ar­re­sto di Mor­si. Funerale_islamistaMa i fe­de­li a Mor­si non ci stan­no e ades­so gli scon­tri sono tra gli isla­mi­sti da una par­te e l’e­ser­ci­to nel­le mani del Ge­ne­ra­le Sisi dal­l’al­tra. Vi­ste le ca­rat­te­ri­sti­che del­le par­ti in cam­po non ci si po­te­va­no cer­to aspet­ta­re del­le ma­ni­fe­sta­zio­ni pa­ci­fi­che, e in­fat­ti il san­gue scor­re a fiu­mi.

Il 14 ago­sto le for­ze di si­cu­rez­za han­no sgom­be­ra­to con la for­za i sit-in or­ga­niz­za­ti dai ma­ni­fe­stan­ti pro-Mor­si e il bi­lan­cio è tra­gi­co: più di 500 mor­ti se­con­do le fon­ti uf­fi­cia­li, mi­glia­ia se­con­do i lea­der de­gli isla­mi­sti che, a di­stan­za di due gior­ni, chia­ma­no a rac­col­ta tut­ti i so­ste­ni­to­ri pro­cla­man­do il “Gior­no del­la rab­bia”. Per­fi­no le mo­schee si tra­sfor­ma­no in covo di ri­bel­li e tea­tro di scon­tri tra eser­ci­to e ma­ni­fe­stan­ti. Nuo­vi scon­tri e an­co­ra mor­ti, ri­go­ro­sa­men­te al­l’in­se­gna del fon­da­men­ta­li­smo re­li­gio­so, tan­t’è che a far­ne le spe­se sono an­che i cri­stia­ni cop­ti, ol­tre che di al­tre con­fes­sio­ni mi­no­ri­ta­rie, ri­te­nu­ti tra i prin­ci­pa­li re­spon­sa­bi­li del­la de­po­si­zio­ne di Mor­si. L’o­dio re­li­gio­so si con­fer­ma dun­que in­gre­dien­te prin­ci­pa­le del­l’e­sca­la­tion di vio­len­za; il prin­ci­pio è il so­li­to “chi non è con me è con­tro di me”, da sem­pre pre­sen­te in qua­lun­que grup­po ideo­lo­gi­co omo­ge­neo a co­min­cia­re da quel­li su base con­fes­sio­na­le e/o et­ni­ca.

Vol­gen­do lo sguar­do al­tro­ve ci si ren­de ul­te­rior­men­te con­to di quan­to la ri­va­li­tà tra di­ver­se con­fes­sio­ni rap­pre­sen­ti non ben­zi­na al­me­no pa­glia su cui pog­gia­no in­sof­fe­ren­za, con­te­sta­zio­ni e di­sor­di­ni. Ba­sta una scin­til­la per far scop­pia­re il fuo­co e ge­ne­ra­re bat­ta­glie che pos­so­no sfo­cia­re in veri e pro­pri mas­sa­cri. E cer­ta­men­te nel­la fase di for­te in­sta­bi­li­tà che per­mea tut­to il co­sid­det­to mon­do ara­bo le scin­til­le non man­ca­no.

Sun­ni­ti e scii­ti, i due prin­ci­pa­li rami del­la re­li­gio­ne mu­sul­ma­na, cer­ca­no di ap­pro­fit­ta­re del­la si­tua­zio­ne per espan­de­re le ri­spet­ti­ve aree di in­fluen­za, e na­tu­ral­men­te non lo fan­no cer­to con la di­plo­ma­zia. In Iraq i sun­ni­ti han­no fat­to esplo­de­re 10 auto in vari quar­tie­ri a mag­gio­ran­za scii­ta mie­ten­do ol­tre 70 vit­ti­me, in Pa­ki­stan la ten­sio­ne tra scii­ti e sun­ni­ti è alla base di una se­rie di at­tac­chi ka­mi­ka­ze che solo nel mese di ago­sto han­no uc­ci­so cir­ca 40 per­so­ne, la mag­gior par­te del­le qua­li par­te­ci­pa­va­no ad un fu­ne­ra­le scii­ta. Ma tut­ta l’a­rea me­dio­rien­ta­le è in­te­res­sa­ta dal con­flit­to in­ter­con­fes­sio­na­le, a co­min­cia­re da Si­ria e Li­ba­no dove gli at­ten­ta­ti non si con­ta­no nean­che più, pas­san­do da Tu­ni­sia e Ye­men per fi­ni­re in Bah­rein dove le for­ze del­l’or­di­ne sono in­ter­ve­nu­te per di­sper­de­re una ma­ni­fe­sta­zio­ne di scii­ti con­tro la fa­mi­glia rea­le sun­ni­ta.

E in­tan­to il mon­do è sem­pli­ce­men­te im­po­ten­te. Sem­bra pro­prio non es­ser­ci modo di av­via­re un pro­ces­so di de­mo­cra­tiz­za­zio­ne in que­sta par­te del glo­bo e il mo­ti­vo è an­che ab­ba­stan­za sem­pli­ce: non può es­ser­ci de­mo­cra­zia sen­za un mi­ni­mo di lai­ci­tà. Fin­tan­to che una par­te con­si­sten­te del­la po­po­la­zio­ne con­ti­nue­rà a so­ste­ne­re grup­pi fon­da­men­ta­li­sti re­li­gio­si, il cui uni­co ob­biet­ti­vo è la di­sin­te­gra­zio­ne di qua­lun­que al­tra con­ce­zio­ne del mon­do, sarà dif­fi­ci­le la na­sci­ta di uno sta­to di di­rit­to per­ché qua­lun­que pro­ces­so de­mo­cra­ti­co avreb­be al­tis­si­me chan­ce di con­clu­der­si con l’a­sce­sa al po­te­re dei fon­da­men­ta­li­sti. E con i fon­da­men­ta­li­sti al po­te­re la de­mo­cra­zia è de­sti­na­ta a spa­ri­re nel giro di bre­ve tem­po. È suc­ces­so ven­t’an­ni fa in Al­ge­ria con l’af­fer­ma­zio­ne del Fron­te Isla­mi­co di Sal­vez­za, è suc­ces­so in Tu­ni­sia con la vit­to­ria di En­nah­da ed è suc­ces­so in Egit­to con il par­ti­to di Mor­si.

Come ab­bia­mo già avu­to modo di dire, nes­su­na de­mo­cra­zia può am­met­te­re alla com­pe­ti­zio­ne elet­to­ra­le una for­za po­li­ti­ca che mira alla di­stru­zio­ne del­la de­mo­cra­zia stes­sa, e noi ita­lia­ni in par­ti­co­la­re do­vrem­mo es­ser­ne con­sci per­ché è pro­prio per que­sto mo­ti­vo che nel­la no­stra co­sti­tu­zio­ne è sta­to in­se­ri­to il di­vie­to di rior­ga­niz­za­zio­ne del par­ti­to fa­sci­sta.

Ma l’I­ta­lia post bel­li­ca era co­mun­que uno sta­to con for­ti vo­ca­zio­ni de­mo­cra­ti­che, cosa che allo sta­to at­tua­le non si può cer­to dire del­l’E­git­to in cui an­che la sola ipo­te­si di met­te­re fuo­ri leg­ge la Fra­tel­lan­za mu­sul­ma­na po­treb­be por­ta­re ad un ina­spri­men­to dei con­flit­ti, o a «con­se­guen­ze de­va­stan­ti» per dir­la con le pa­ro­le del mi­ni­stro de­gli Este­ri Emma Bo­ni­no. L’u­ni­ca al­ter­na­ti­va per ora, e non si può sa­pe­re fino a quan­do, sem­bra es­se­re tra un re­gi­me mi­li­ta­re e un re­gi­me fon­da­men­ta­li­sta.

Gli scon­tri in­tra­con­fes­sio­na­li e in­ter­con­fes­sio­na­li che con­ti­nua­no ad af­flig­ge­re l’u­ma­ni­tà do­vreb­be­ro far ri­flet­te­re su af­fer­ma­zio­ni gra­tui­te che esco­no dal­le lab­bra di po­li­ti­ci, ol­tre che ov­via­men­te da quel­le di capi re­li­gio­si: no, non sem­bra dav­ve­ro che l’a­tei­smo e l’a­gno­sti­ci­smo sia­no fe­no­me­ni per­ver­si che mi­nac­cia­no la so­cie­tà, né tan­to­me­no che in loro nome sia o sia mai sta­ta com­bat­tu­ta al­cu­na guer­ra.

 

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Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.160) 20 agosto 2013 17:42

    L’esercizio della sovranità popolare richiede necessariamente che il popolo (la sua maggioranza almeno) voglia e sappia esercitare la sovranità. Non basta che per qualche circostanza si trovi in grado di poterlo fare.

    Per avere una democrazia funzionante e stabile la prima condizione è quindi che vi sia la possibilità di instaurarla, la seconda è che vi sia una maggioranza di cittadini che voglia realizzare un sistema politico istituzionale democratico, la terza è che esista la capacità diffusa di farla funzionare e di difenderla.

    E’ difficile dire se davvero in Egitto si sia verificata la possibilità di realizzare un sistema democratico. L’esistenza di un potere quasi assoluto della casta militare tenderebbe ad escluderlo. Meglio: se una finestra di possibilità si è apparentemente aperta a partire dal successo delle manifestazioni di piazza Tahrir, avendo i militari conservato intatto il loro potere, si è trattato di qualcosa più simile ad una concessione da parte dei militari che di una effettiva transizione del potere da loro al popolo. 

    Le motivazioni che hanno ispirato ai militari questa concessione possono essere indagate e precisate meglio. Probabilmente non sono estranei a questa scelta i loro referenti esterni. Difficile pensare che all’interno di una organizzazzione gerarchica culturalmente aliena dai principi democratici come quella militare sia sbocciato spontaneamente l’anelito democratico. Più probabile che abbiano inciso sulla scelta le nuove linee di indirizzo espresse a suo tempo dal presidente Obama nel suo famoso discorso all’Università del Cairo.

    La risposta alla domanda se esista la seconda condizione è anch’essa dubbia. E’ vero che da piazza Tahrir è stata lanciata forte la richiesta di democrazia e di rimozione dal potere dell’uomo forte che l’ha negata per decenni, ma è anche vero che da quella stessa piazza è recentemente partita la richiesta di un pronunciamento militare per cancellare quell’abbozzo di istituzioni democratiche che si erano formate. 

    La contraddizione è evidente: un democratico non chiede ad un potere a-democratico di intervenire al di fuori dei poteri che l’ordinamento democratico gli assegna per rovesciare quello che a suo avviso rappresenta il tradimento della democrazia: lo fa da sé con un atto rivoluzionario se lo ritiene. E’ in questo modo che la democrazia può crescere e diventare più forte: rivendicando il potere popolare. Nell’altro modo la democrazia torna ad essere una concessione, non l’esercizio di un vero potere.

    Questo porta alla terza condizione: che il popolo sappia esercitare e difendere la sua sovranità.
    L’Egitto non ha mai avuto un sistema democratico, e questo breve e tormentato intermezzo non è stato certamente sufficiente per sperimentare e addestrarsi nell’esercizio della democrazia. Che richiede l’introiezione di certe regole come il rispetto per le minoranze, il riconoscimento dell’eguaglianza dei cittadini nei loro diritti civili, il rispetto dell’ordinamento e delle norme basilari di comportamento nel confronto politico.

    Temo che l’occasione per gli egiziani sia per stata per il momento stupidamente persa. Se è vero che la presidenza Morsi stava mettendo in pericolo la democrazia, ma io ne dubito, aver scelto l’aiuto (se così si può chiamare) dei militari invece di contrastare la deriva con la forza del dissenso di massa, l’ha sicuramente uccisa.

    In tutto questo meriterebbe un discorso a parte il comportamento schizofrenico dei referenti della casta militare: gli USA, che di democrazia dovrebbero intendersene.

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