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E’ razzismo. Fra Italiani. A Torino un muro divide i bimbi di un cortile. Per diverso status sociale

Per tutto esiste – o dovrebbe esistere – un limite. Per ogni espressione della vita. Della quotidianità. Dei sentimenti. Un qualcosa che non permetta di andare oltre una serie di pensieri e motivazioni. Quel punto di stop, che rende l’Essere Umano pensante, ragionante. Raziocinante, insomma. Quella logica senza troppe pretese che dovrebbe fare più parte del codice genetico globale dell’umanità piuttosto che derivante da contorcimenti ed aberrazioni di un pensiero distorto.

Finché questo accade al singolo, le manifestazioni contrarie alla logica non sortiscono grandi effetti. Ma se intere comunità di persone si lasciano affascinare da concetti fuori dal comune, dalla logica e dalla dignità umana, allora ecco che diviene fenomeno. Da studiare. Controllare. Eventualmente gestire. Ammesso sia possibile.

In Italia, in special modo nell’ultimo anno, il Sistema ha operato nettamente e continuativamente al fine di produrre un’emozione che poi è divenuto sentimento: il razzismo. Un sentimento che forse comunque albergava nell’animo di molti. Ma si sa, l’Italiano comunque è bonario. Accetta di buon grado anche situazioni che in altre parti del mondo sarebbero violentemente contestate. Il razzismo di conseguenza per decenni non ha sortito reazioni eclatanti. Si è convissuto con altre etnie. Si è accettata la presenza sul territorio di culture sempre diverse. Si è anche imparato – molto – da esse. Una convivenza nata e cresciuta dai fatti. Recriminarne la cancellazione non appariva certo possibile, con tutte le problematiche legate all’immigrazione.

Ma ecco che, per una mossa strategica di chi controlla e gestisce anche le piccole scelte quotidiane del singolo, si decide d’un tratto di deviare la popolazione verso sentimenti prima sconosciuti o al più soppressi. Si decide prima di tutto di creare un sentimento globale di razzismo, fondato sulla paura del “diverso” e sulle peggiori espressioni di violenza. E’ bastato poco. Stupri ed aggressioni – sempre imputati a stranieri – hanno operato come la famosa goccia cinese che lenta ma inesorabile è capace di bucare la roccia. Un giorno dietro l’altro. Il sentimento comune diviene più coeso. Estremizza sentimenti già estremi. Trova quasi tutti concordi nel voler far piazza pulita degli aggressori, malvagi ed incivili persecutori di altre nazionalità.

Persino in casi eclatanti di errore giudiziario – da ricordare il caso dei due Romeni arrestati per violenza carnale e poi restituiti alla libertà per non aver commesso il fatto – la folla recrimina vendetta. Anche contro non si è macchiato di alcun delitto. Facinorosi in cerca di sangue da mischiare al sangue delle vittime delle aggressioni.

L’Italia si riscopre “attiva”. Tenta linciaggi degni di guerriglie urbane d’altri tempi. Vuole giustizia. A tutti i costi. Ancor più perché il colpevole, in ogni caso, è uno straniero. Si alimenta così un’emozione di massa. Si sconvolgono ere intere in cui si è lavorato sul concetto di unità. Coesione. Fratellanza. Si gettano alle ortiche pagine di storia, che continuano ad essere insegnate agli alunni nelle scuole, ma che non trovano collocazione nella vita reale. Da un lato si insegnano i valori dell’unificazione fra popoli e sullo stesso territorio. Dall’altro, gli eventi reali insegnano come sia necessario combattere questi concetti con ogni arma possibile.

I giovani, si trovano spiazzati fra ciò che odono nei momenti di formazione, e ciò che vivono al di fuori delle aule scolastiche.

Una volta sortito il sentimento voluto, ecco poi il passo successivo. Generare sentimenti di razzismo ed odio, all’interno della stessa Comunità. Ora non sono gli Italiani contro gli extracomunitari. No. Quelli sono serviti “solo” ad aizzare le folle. Inoculare sentimenti di rabbia. Di non accettazione. Di condivisione di un mistero chiamato razzismo. Cui però, quasi nessuno è in grado di stabilire una origine ed una collocazione specifica.

Il “diverso” da attaccare, ora è il connazionale. Il vicino di casa che conosci da trent’anni. Il pensionato che vive al primo piano. La famiglia con tre figli che abita di fronte.

Non che anche a livello nazionale non si riscontri da sempre una sorta di divisione fra Regioni ed anche fra città diverse della stessa Regione. Ma questo più che altro è sempre stato quel prendersi un po’ in giro fra connazionali. Quel recriminare un diverso modo di vivere o di vedere le cose, che è un po’ il sale ed il folklore di ogni popolazione, e che spesso tende a far crescere e migliorare la propria cultura storica.

Ma ora, si è andati di molto oltre il segno. Dal razzismo violento generato “grazie” a campagne a tamburo sul concetto di violenza perpetrata dallo straniero, si è passati poi al riconoscimento della sussistenza del violentatore nostrano, per giungere ad oggi, ad una notizia che ha dell’incredibile e deve segnare un punto di riflessione, che dobbiamo prima di tutto a noi stessi e poi alla Comunità intera.

A Torino – in questi ultimi giorni – in un cortile composto da case popolari ed appartamenti occupati dagli stessi proprietari, è calato il buio dell’intolleranza. Contro il “diverso”? Sissignore. Ma stavolta il diverso non parla un’altra lingua. Non prega altri dei. Non ha un colore diverso della pelle. Il diverso , anzi i diversi, stavolta sono cittadini della stessa nazione. Divisi solo da preconcetti aberranti ed anche…da un muro che fa si che “i ricchi” non si mescolino ai “poveri”. Un muro che attesta una forma di razzismo alienante. Aggressivo. Violento. Indegno. Una forma di non accettazione dei propri simili, che non corrispondono ad uno status definito “migliore” e che di conseguenza trucida tutti coloro che non ne fanno parte. A cominciare dai bambini.

Già. Dai bambini. Ignari ma già succubi della violenza umana. Che si sono ritrovati da un giorno all’altro, a scendere in cortile e trovarsi divisi da un muro di plexiglass ai bambini con cui avevano scambiato ore di gioco fino al giorno prima. Una Torino che espelle la diversità. Non si sa in base a quali elucubrazioni mentali. Sta di fatto, che in quel Corso Rosai si è deciso di stabilire un confine. Un netto rifiuto alle differenze. Intangibili nella realtà. Ma a quanto pare, pesantemente vissute da chi ha deciso questa grave amputazione al diritto di uguaglianza e libertà.

Un’offesa talmente pregna di aberrazione, da confondere qualsiasi tipo di considerazione. Lotte fra fratelli. Fra poveri. Fra classi sociali. Fra diversi per cultura e religione. Fra nazionalità diverse. Guerra. Prima di tutto. Priorità assoluta in un mondo che non accetta più alcuna condivisione, se non nelle espressioni più violente e che ammiccano ad una netta differenziazione, a seconda dei luoghi e dei casi.

Un rifiuto globale alla stessa globalizzazione, per bizzarro che possa apparire. Strappi in un Sistema che da un lato globalizza, dall’altro pretende la disgregazione. Senza peraltro che le pedine mosse comprendano la logica stessa degli avvenimenti.

I fatti accadono. E sempre meno ci si interessa al perché. E’ più importante il Come. Eclatante esposizione delle teorie dei micro e macro gruppi, che designano in questo modo una ulteriore diversità, che li contraddistingue ad altre decisioni di non accettazione. Insomma: il solito cane che si morde la coda, senza mai giungere a destinazione.

Ultima fermata alla stazione del complesso mondo delle dinamiche umane. Sempre e comunque controllate all’origine. Da chi controlla il mondo e guarda gli effetti delle proprie strategie attraverso un vetro azzurro che non lascia trapelare emozioni.

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