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E’ morto Bin Laden ma non c’è niente da festeggiare

È morto Osama Bin Laden. La foto-tarocco che lo immortala risale al 2006; una morte annunciata da sei anni. Durante le ventiquattro ore dalla notizia tutto sembra essere stato confezionato apposta per foraggiare i complottisti di sempre: l’annuncio lo da Barack Obama, proprio nel decennale del 9/11, che si prepara alla ricandidatura; il cadavere è stato occultato, perché dopo anni di orrori trasmessi in chiaro a tutti gli abbonati, l’umanità potrebbe turbarsene; è stato gettato in mare perché il suo sepolcro non divenisse luogo di pellegrinaggio, come se i civili morti nelle guerre di Bush non fossero sufficienti – no, lo hanno gettato alle acque in rispetto dei riti islamici – ma anche questa spiegazione non regge, perché un gesto simile sarebbe interpretato come oltraggioso dall’islam; le foto originali ci sono – lo sostiene il Corriere della Sera – ma appunto, l’umanità non deve essere turbata da quelle immagini.
 
Eppure le prove ci sono: il DNA; i sopravvissuti al blitz dei Navy Seals (corpo speciale della marina americana); i cabli delle indagini, i quali hanno portato la CIA ad avere prove certe, del fatto che Osama si nascondesse in un edificio super blindato, in un quartiere di militari in congedo ad Abbottabad in Pakistan – da sempre si sosteneva che si nascondesse lì. Bin Laden è morto al di là di ogni ragionevole dubbio, non c’è dubbio che siano stati gli americani. Il responsabile del 9/11 è morto da eroe romantico, non da ergastolano – a seguito di un regolare processo – per rendere giustizia ai parenti delle sue vittime. Eppure nelle strade di New York si festeggia.
 
Si è persa un’occasione d’oro, sia per smentire una volta per tutte la "catena di Sant Antonio" dei complottisti del 9/11, sia per far luce sui mille lati oscuri della sua vita, e dei suoi legami con varie entità politiche. Come osserva Massimo Fini, nella sua biografia del Mullà Omar; Osama esordisce nella sua carriera di combattente assieme al leggendario Massud – eroe della resistenza afghana contro l’invasione sovietica – se ne interesserà anche la CIA, assoldandolo. Omar, che non lo ha mai potuto soffrire nel 1995 entra in contatto con l’amministrazione Clinton, per farlo ammazzare; non se ne farà niente – benché fosse stato responsabile di diversi attentati alle ambasciate americane. Forse, quando i servizi segreti avvisarono Bush figlio di possibili attentati sul suolo americano, pensarono si sarebbe trattato della solita ambasciata, eppure non era la prima volta che il complesso delle Twin Towers subiva un attentato, era già accaduto nel 1992. Il noto regista Michael Moore nel film “Fahrenheit 9/11” indagò su un fatto molto curioso: nei giorni che seguirono l’attentato alle Torri Gemelle, con tutti gli aeroporti bloccati, membri della famiglia Bin Laden riuscirono a uscire dal paese, regolarmente. Anche Naomy Klein nel suo best seller “Shock Economy”, senza cadere nel becero complottismo, nota anomalie e sviste dilettantesche nel sistema di sicurezza americano.
 
Se Atene piange Sparta non ride di certo. Questi dieci anni hanno rappresentato la fine di un’illusione: quella di un America forte e invincibile, esempio di efficienza e faro della democrazia contro la barbarie. L’Occidente festeggia il fallimento completo di quella che è stata una operazione di polizia internazionale, che sembra una guerriglia su scala globale: il "ricercato numero uno" è stato addirittura onorato, concedendogli di morire combattendo – questo sì, in rispetto dei valori islamici – e, per non farci mancare niente, uccidendo donne innocenti usate come scudo.

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